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Joan Miró: 130 anni dalla nascita di uno dei più grandi esponenti del surrealismo

Immagine tratta dal libro "Miró di Janis Mink, Taschen, 2016"

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Se pensiamo alla parola surrealismo pensiamo alla personalità eclettica di Salvador Dalì, al suo tempo deformato e imprendibile o agli amanti avvolti in un bacio incastrato nel velo di Magritte, eppure il più surrealista di tutti – a detta stessa dei colleghi, di André Breton in particolare – fu Joan Miró.

Nato il 20 aprile del 1893 in Spagna, asseconda fin da piccolo il suo sesto senso per l’arte, un talento connaturato che sviluppa senza grandi avversità. Impara da maestri di un certo spessore, come Francisco Galí, che lo conduce verso uno stile pittorico che favorisca la sua essenza. A Barcellona, dove si forma, incontra artisti del calibro di Van Gogh, mentre a Parigi si trova a confrontarsi con nomi quali Pablo Picasso e André Breton, stringendo grandi rapporti umani con personalità culturali di spicco in quel tempo, come Tristan Tzara.

Le influenze sono state molteplici, ma ha avuto da principio un tratto identitario, fissato nell’estrazione materica della sua pittura, esprimendo agli albori quelle sinuosità tipiche della terra natia. Le figure riprodotte vibrano nel solco di un tratto nostalgico, quasi infantile, che verte a creare – in chi osserva – un tumulto e una filiazione. Forse questa complessità di composizione si deve anche alla dote irrefrenabile di cimentarsi in più tipi di arte, fra le tante sicuramente ricordiamo la litografia, la scultura e l’acquaforte, così come in peculiarità dell’arte surrealista quali la pittura su carta catramata e vetro, o il tipico grattage.

Da qualunque prospettiva si osservino le sue opere, c’è quella sensazione di inglobamento, comprensione e perfetta intromissione nelle parti dell’animo più nascoste.

Eppure, la sua essenza sembra compiuta in una delle sue opere più famose, il Trittico Blu. Tre tele destinate a coprire un’intera parete, 335 x 270 cm, attualmente conservate a Parigi, nel Centre Pompidou. L’artista le dipinge quando ormai tutte le suggestioni sono cessate e si sono tradotte in questi tratti definiti, in questa sostanzialità delle forme e nella primordiale espressione del colore. È come se fossero il risultato di quella che è la vita nella sua sintesi, attraversata nel midollo spinale della sua esperienza.

Lo scrittore Raymond Queneau aveva inventato il termine miroglifici proprio per sottolineare il peculiare e riconoscibile tratteggio, creato con i segni da Miró. Era come una lingua a sé stante, con le sue particolarissime declinazioni, il suo imprimere sulla tela qualcosa che mai prima si era tentato: Miró era un tutt'uno con la tela.

Un punto, una linea, un tratto, un colore: segno d’artista capace di fermare l’inafferrato e renderlo intramontabile

Immagine tratta dal libro "Miró di Janis Mink, Taschen, 2016"

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