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Luca Ronconi, eterno regista di un eterno teatro

Illustrazione digitale di Ginevra Sacchi, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Ginevra Sacchi, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Non mi piace pensare durante un evento teatrale di dover ridurre 500, 200, 80, 1000 persone a essere un pubblico. Se sono 1000, a me piacerebbe che fossero mille pubblici; ogni spettatore presente alla rappresentazione costituisce un pubblico

Luca Ronconi

Scrivere di Luca Ronconi non è facile neanche se sei un appassionato di teatro.
Maestro innovatore e rivoluzionario, portò in scena in modo unico una moltitudine di opere, sperimentando ovunque gli fosse possibile: grandi classici teatrali, di lirica, di letteratura.

Ronconi nasce l’8 marzo del 1933 a Susa, in Tunisia. Si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica a Roma e debutta come attore in Tre quarti di luna di Luigi Squarzina. Arriva al successo internazionale con l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto nel 1969, con debutto a Spoleto e una tournée che porta il teatro nelle chiese e nelle piazze italiane. Una rappresentazione unica nel suo genere: due palcoscenici in movimento posti alle estremità dello spazio scenico, irruzioni degli attori con carrelli di legno verso gli spettatori, che diventano partecipanti della messinscena.

Lavora con Orazio Costa, Giorgio De Lullo, Michelangelo Antonioni, Corrado Pani e Gian Maria Volonté.
Alla Scala realizza importantissimi titoli d’opera con musicisti come Claudio Abbado e Riccardo Muti.
È direttore del teatro stabile di Torino e di Roma e - dal 1999 al 2010 - del Piccolo Teatro di Milano dopo Giorgio Strehler (leggi qui il nostro approfondimento), dove mette in scena tantissimi spettacoli, tra cui La vita è sogno di Calderón de la Barca, Il sogno di Strindberg, Lolita di Nabokov, I due gemelli veneziani di Goldoni, Candelaio di Bruno, Quel che sapeva Maisie di James.

Dirige per alcuni anni anche la scuola per attori del Piccolo. Nel 2008 gli viene conferito il Premio Antonio Feltrinelli per la regia teatrale e riceve lauree honoris causa dalle università di Perugia, Urbino, Venezia e Bologna. Leone d’Oro alla carriera nella Biennale Teatro di Venezia (2012), Luca Ronconi muore nel febbraio 2015 a Milano, proprio nei giorni in cui al Piccolo è in scena il suo ultimo spettacolo Lehman Trilogy. Durava quattro ore e mezza e Ronconi lo definì “una ballata epica”: la storia della grande famiglia ebrea fondatrice della banca d'affari omonima colpita dalla crisi.

Mi piace pensare allo spettatore come lettore, presto ritornerà l’esigenza di un teatro di parola

Luca Ronconi

Di Ronconi stupiscono la molteplicità e varietà delle scelte: un intellettuale curioso e innovatore, dietro a ogni suo lavoro c’è un pensiero preciso. Arriverà a realizzare oltre 120 lavori teatrali e più di 100 lirici, senza mai cedere alla tentazione di ripetersi.
Si muove con disinvoltura dai classici conosciuti da tutti (Eschilo, Aristofane, Euripide, Shakespeare) ad autori meno rappresentati in teatro, passando anche da opere letterarie di narrativa e dalla drammaturgia musicale di Rossini.
Esperimento sui generis fu Infinities del matematico Barrow, tratto dai cinque scenari dedicati da questi al concetto di infinito: uno spettacolo allestito in un magazzino di scenografie milanese nel 2001.
Lo spazio come costante protagonista da scomporre, valorizzare, indagare.

Protagonista assoluto della scena italiana, Ronconi è senz’altro stato uno dei più grandi registi teatrali: una teatrografia tanto lunga da sembrare infinita, quella lasciata da un regista e attore forse percepito da molti come complesso, ma la cui genialità oggi non è messa in discussione.
Il teatro di Ronconi è esperienza pura di conoscenza, di emozioni, di scoperta di nuove forme di comunicazione, e quasi mai “rappresentazione” nell’accezione più tradizionale che conosciamo.

So benissimo di essere un’anomalia, anche come regista. Se c’è stato qualcuno sempre pronto a disconoscere quello che aveva appena fatto sono proprio io. Questo non è solamente bizzarria o insofferenza… Quello che posso fare è cercare di mantenere viva la curiosità per quello che succede intorno, per ciò che è necessario

Luca Ronconi

Nel libro Prove di autobiografia, edito Feltrinelli e curato da Giovanni Agosti, si gode di una bellissima storia di teatro e di vita: aneddoti tratti dall’esperienza di Ronconi, il suo punto di vista, la sua specifica espressività, tante foto inedite.
Ma sono materiali che procedono nella consapevolezza di un carattere riservato: “prove”, appunto. Ronconi non avrebbe mai dato alle stampe una vera e propria autobiografia.
Il libro è il frutto maturo e stupendo del grande lavoro svolto da Agosti a partire da alcuni scritti emersi nel lascito documentario citato nel testamento di Ronconi, principalmente sue conversazioni con Maria Grazia Gregori (critica dell’Unità e studiosa di teatro).

Troviamo i suoi pensieri sulla regia, appunti su un modo di lavorare improntato a un perfezionismo senza compromessi ma che discende direttamente dall’esperienza del testo, e mai dal timor reverenziale nei confronti dell’autore.

Tento di verificare se l’immagine che ho in testa regge o è velleitaria, se ha una rispondenza con quello che sto facendo. Con il testo, con gli attori. Le metodologie? Brecht contro Stanislavskij, Artaud contro Brecht. Un dibattito senza senso. Ho sempre rifiutato di mettere in scena un testo secondo una idea preconcetta… Nel mio lavoro parto sempre dall’opera per poi risalire all’autore, mai il contrario

Luca Ronconi

Un grande regista che scavava nei testi per arrivare al pubblico e alla critica non per piacere a tutti i costi quanto piuttosto per scuotere, generare dubbi e domande, in sala e fuori, nel mondo.
E dar vita così all’idea di un teatro che trascendendo i limiti del palcoscenico, sapesse dialogare potesse continuare a vivere soprattutto nelle domande che era capace di porre a tutti, come fossero uno.
Ciascuno è uno, privato. Ciascuno è un pubblico.

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