Tutti muoiono giovani
È morto Marc Augé, uno dei rari filosofi in cui tutti, prima o poi, sono incappati. Rari perché di filosofia si parla pochissimo, ormai, ma quando questa si mescola all’antropologia, alla sociologia, si abbassa e si concretizza nelle nostre vite, la gente spalanca gli occhi a dire: urca! È proprio così che va il mondo! Con i suoi concetti particolarmente felici, le parole di Augé erano passate di bocca in bocca come un fenomeno pop. A diversi gradi di approfondimento, alcuni dei suoi neologismi aderivano così bene alla realtà che li si usava – li si usa ancora, per fortuna – per descrivere quello che ci circonda.
Ce n’è uno, di questi concetti, che ha avuto una risonanza quasi immediata e che diceva qualcosa sul nostro mondo talmente bene e senza fronzoli che, in questi giorni, Augé è diventato, per capirsi, per comunicare meglio, «il filosofo del nonluogo». Per inciso, probabilmente a lui non sarebbe dispiaciuto essere definito così, non tanto perché tutta la sua filosofia si potesse ridurre a quel concetto, quanto perché lui credeva in maniera incondizionata nel potere della comunicazione tra esseri umani. E qui veniamo anche al nonluogo di cui tanto si parla.
Dalla possessione rituale alla Silicon Valley, l'antropologia ha oggi dilatato il campo di osservazione, ridefinendo il suo quadro concettuale e i suoi approcci metodologici. Il compito dell'antropologo non è più quello di mettersi alla ricerca delle origini. bensì quello di proporre un'analisi critica delle modalità di espressione nei contesti storici che danno loro senso.
Nel concetto di globalizzazione, e in coloro che si richiamano ad esso, c'è un'idea di compiutezza del mondo e di arresto del tempo che denota un'assenza di immaginazione e un invischiamento nel presente profondamente contrari allo spirito scientifico e alla morale politica
Che cosa sono, quindi, i nonluoghi? Sono spazi che non sono frequentati dagli esseri umani se non in maniera transitoria, effimera. Non sono, per così dire, abitati. Per esempio le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti, ma anche i supermercati, i grandi centri commerciali che sembrano città e invece sono un agglomerato di finzione e facciata: luoghi che, però, per la progressiva perdita da parte dell’essere umano di una capacità di fermarsi, guadagnano il negativo. Il che non li rende assolutamente inabitabili, né assolutamente antispazi – come buchi neri, per capirci – solo, diventano i centri nevralgici della frenesia.
Non sappiamo nulla, di questi nonluoghi. Non come funzionano, non quali sono le loro architetture (a meno che non ci lavoriamo dentro, in qualche senso), neppure abbiamo una reale percezione di quanto siano grandi o non lo siano. Eppure ci sono indispensabili, ci fanno sentire al sicuro: nel momento in cui sappiamo che per arrivare da un posto all’altro c’è un’autostrada, ci tranquillizziamo, così come quando dall’altra parte del mondo troviamo un supermercato che vende Coca-cola. I luoghi sono le unicità che viviamo come individui, esseri umani precisi, irripetibili, i nonluoghi sono le ricorrenze, ciò che riconosciamo come ripetitivo e perciò tranquillizzante.
I nonluoghi sono quegli spazi dell'anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli. E al loro anonimato, paradossalmente, si accede solo fornendo una prova della propria identità: passaporto, carta di credito... Nel proporci un'antropologia della surmodernità, Auge ci introduce anche a un'etnologia della solitudine.
La storia ha un senso? Quale senso? L'unico senso è la conoscenza
Ma Marc Augé non si addentrava in discorsi moralizzanti: cosa dobbiamo farci, con questi nonluoghi? No, la sua era una costatazione, esistono, sono un prodotto di qualcosa che riguarda il nostro modo di vedere il mondo, di costruirlo e poi di starci dentro. Un altro neologismo di Augé è il concetto di surmodernità, che si contrappone alla postmodernità e a quella si relaziona. Sono i tempi in cui viviamo, moderni e sur, che sta per qualcosa di simile a super, perché nella nostra società tutto è eccesso: di spazio – ecco i non luoghi –, di tempo – non sappiamo più fermarci –, e di ego – per converso, alla perdita dell’individualità si reagisce con uno strabordare di personalizzazione.
Marc Augé, si diceva, non giudica i tempi, ce li mette davanti: viviamo qui. Se ci piace, con tutte le precauzioni del caso e consapevoli delle contraddizioni, possiamo rimanerci. Altrimenti, qualcosa dovrà cambiare.
Delusa e disillusa dalle ideologie novecentesche, soverchiata da un progresso scientifico e tecnologico inarrestabile, l'umanità di oggi sembra essere rimasta priva di un "faro" che illumini il percorso verso il futuro. Questa sorta di eterno presente - stravolto dalle disuguaglianze, dalla violenza e dalla regressione ideologica - è la condizione che Augé definisce come la "preistoria dell'umanità come società planetaria".
Di
| Elèuthera, 2019Di
| Elèuthera, 2018Di
| Elèuthera, 2017Di
| Bollati Boringhieri, 2009Di
| Raffaello Cortina Editore, 2011Di
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