La redazione segnala

Una lettera agli studenti e alle studentesse per la maturità 2023

Cari maturandi,

vi scrivo da quella parte di mondo folle che è il mondo dopo il liceo.

Esiste, ve lo assicuro, e non è né così spaventoso né così magnifico come ve lo aspettate.

È, semplicemente, il mondo.

Il giorno in cui io ho fatto la maturità, non ho visto le facce dei miei professori nemmeno una volta. Quelle facce le avevo impresse nella memoria, avevo imparato a memoria le loro espressioni, e i voti sul registro elettronico a cui corrispondevano.

L’angolo di una bocca piegato verso l’alto voleva dire che ero stata brava, un sopracciglio alzato che potevo fare meglio, mentre le labbra increspate volevano dire che avevo sicuramente sbagliato qualcosa.

Sapevo esattamente come sarebbe andata la mia maturità: quanto sarebbe durata (più o meno tre settimane), cosa avrei fatto per festeggiarla (mi sarei ubriacata su un’isola greca), anche quali espressioni avrebbero avuto i miei professori sul volto (solo angoli della bocca piegati verso l’alto).

Poi è arrivato marzo 2020 e ha cambiato tutto.

La maturità è durata un giorno al posto di un mese, i professori avevano la mascherina, e in Grecia non ci si poteva andare.

Sapevo anche come mi avrebbe fatto sentire la mia maturità: sarei stata pronta alla vita.

Nella mia testa di liceale confusa c’erano, in ordine, prima la maturità e poi, forse, la vita. Ma la prima era necessaria per dimostrare di essere adatta alla seconda.

Il voto è arrivato un pomeriggio in cui stavo aspettando l’autobus.

Erano le sei di pomeriggio ma sembrava mezzogiorno dal caldo, la camicia mi si appiccicava addosso.

Dopo aver aperto il PDF e aver guardato il voto — anche il voto non era quello che mi aspettavo —, ero delusa.

Non era cambiato niente: non mi si era aperta nessuna nuova visione sul mondo.

La periferia era sempre la periferia, l’estate sempre calda e l’autobus sempre in ritardo.

Ci avevano promesso che dopo tutto quel sudore avremmo capito qualcosa, ma io non avevo capito ancora niente.

Forse, la cosa più pericolosa della maturità non è la prova in sé — i commissari non hanno il potere di uccidervi, anche se in quel momento sembra di sì — quanto il fatto che ci facciano credere che dopo saremo diversi.

La cosa difficile da accettare è che il cambiamento non avverrà quando uscirete per l’ultima volta dal portone della scuola, e neanche quando riceverete il voto via mail.

Maturare è una cosa che avviene piano piano, e quando le cose succedono gradualmente di solito non te ne accorgi.

Succederà quando metterete insieme i pezzi che separano le idee sul mondo che vi hanno insegnato a scuola dal mondo che vi ritroverete ad abitare.

Quando vi renderete conto che fuori la vita è fatta di possibilità di cui non vi avevano avvisato, che il pomeriggio non è fatto solo per studiare. Che il weekend in realtà inizia il venerdì pomeriggio, e che la domenica non deve essere atroce. Che maggio non è solo il mese delle interrogazioni, ma anche della primavera.

Che ci sono treni da prendere di mercoledì, esami da dare e vite da vivere.

Buona fortuna maturandi, vi auguro di fare la maturità, e poi di maturare.

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