La redazione segnala

Dieci anni dalla strage dei migranti di Lampedusa: il racconto di Rahel Sereke e Youssef Moukrim

3 ottobre 2013 - 3 ottobre 2023
Che senso ha oggi la Giornata della memoria e dell’accoglienza?
Intervista agli attivisti antirazzisti Rahel Sereke di Milano e Youssef Moukrim di Verona
A cura di Razzismo Brutta Storia e Maremosso

Oggi, 3 ottobre 2023, è la Giornata della Memoria e dell’accoglienza, istituita dal 2015 su spinta del Comitato 3 Ottobre per ricordare la tragedia del 2013.

Sono passati dieci anni da quella notte in cui al largo di Lampedusa una barca arrivata dalla Libia per un incendio si rovesciò, con oltre 500 persone a bordo, di origine eritrea, che scappavano da pesanti condizioni di vita, e 368 di queste morirono annegate.

Dieci anni dall’avvio dell’operazione Mare nostrum, che in un anno soccorrerà oltre 160mila persone grazie a navi autorizzate, poi sostituita da Triton e gradualmente smantellata. E mentre si sono susseguite politiche migratorie che non hanno tutelato la vita e la dignità umana, le morti nel Mediterraneo nell'ultimo decennio, secondo l’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni (OIM,) sono salite a più di 25000.

Che senso ha dunque questa Giornata della Memoria e dell’accoglienza? Cosa possiamo comprendere riflettendo su questi dieci anni, e cosa fare oggi? Quali prospettive e libri possono aiutarci?

Lo abbiamo chiesto a Rahel Sereke, attivista antirazzista, dell’Associazione nata dopo il 3 ottobre a Milano Cambio Passo e consigliera del Municipio 3, dove è organizzata un’importante iniziativa sulle prospettive della diaspora italoeritrea rispetto al 3 ottobre, e a Youssef Moukrim, attivista e giurista impegnato nel lavoro antidiscriminazioni sul territorio veronese che ha lavorato al lancio della mobilitazione Veronese Basta Morti in Mare. A Milano l'iniziativa di piazza è indetta dalla rete "Nessuna persona illegale" il 3 ottobre alle 18.30 in Piazza Duca d’Aosta. Grazie a entrambi per il tempo e per questi importanti contributi e spunti.

Buona lettura!

Cos’è successo per voi da quel 3 ottobre 2013? Che significato ha questa Giornata della Memoria e dell'Accoglienza 2023 e cosa pensate serva fare oggi?

Rahel Sereke: Per me come per molte persone di origine eritrea, Habesha (Termine riferito alle persone di origine eritrea ed etiope) , il 3 ottobre è stato una sorta di spartiacque, non tanto e non solo perché le vittime erano quasi tutte di origine eritrea ma perché, benché non fosse il primo naufragio, ha reso violentemente visibile il fallimento di un approccio alle migrazioni.

Da lì ci si è posti il tema di come conquistare spazio di parola nell’ambito pubblico per offrire un’altra prospettiva, quella che parte dell’esperienza delle persone direttamente interessate.

A Milano fu organizzata proprio dalla comunità Habesha una manifestazione dopo la tragedia. In questa città l’immigrazione eritrea data 40 anni, ma già prima del 2000 si era intensificata e c’era il tema della non risposta a livello locale: le persone vivevano in spazi abbandonati (da Piazza Oberdan a via Lecco al Parco Forlanini).

Il 3 ottobre invece ha creato una risposta a livello di politiche. Mare Nostrum arrivava dalla consapevolezza diffusa sulla necessità di operare in maniera diversa. Anche a livello cittadino nasceva consapevolezza: l’Associazione Cambio Passo è nata in quel momento da persone di origine eritrea che hanno iniziato a interagire con l’amministrazione sui temi accoglienza e integrazione, contribuendo in modo significativo a determinare un’attivazione forte.

Purtroppo, in questi ultimi 10 anni questa consapevolezza si è scontrata contro la polarizzazione del discorso sulla migrazione, che vede da un lato un approccio quasi esclusivamente umanitario e dall’altro un contro discorso che identifica nelle migrazioni i problemi strutturali delle società a capitalismo avanzato in cui viviamo.

Il discorso protezionista che fa dello straniero un nemico che ruba il lavoro, e via discorrendo, ha saputo evidentemente raccogliere un disagio molto generalizzato. Un disagio che non si vuole vedere come parte del sistema socio-economico in cui viviamo, che vive producendo disuguaglianza, e si continua a spostare sull’ultimo arrivato, su chi “non appartiene alla società”.

Con Cambio Passo, associazione nata nel 2013 a Milano dopo la strage del 3 ottobre, le cui socie e soci fondatori sono prevalentemente di origine eritrea ed etiope, volevamo iniziare a raccontare che il fenomeno migratorio non è emergenziale, visto che la presenza straniera in questo Paese avviene nei primi anni ‘60, ed è in modo visibile presente nella società, e che è necessario un altro tipo di approccio, altre soluzioni e discorsi, con un ritorno alla centralità del dialogo interculturale per accompagnare un processo che è un processo globale. Questi anni sono gli anni più mobili che l’umanità ha conosciuto, anche se la parte più consistente dell’umanità che si muove rimane nel proprio Continente.

Questo approccio negli ultimi dieci anni non si è affermato perché purtroppo non si è mai sviluppato un rapporto con le comunità di appartenenza che fosse paritario, nel gergo dei progetti si direbbe quella forma mentis che poteva suggerire di fare le cose insieme, co-progettare gli interventi. Ad esempio, i primi anni all’interno delle strutture non c’erano i mediatori delle lingue delle persone ospitate, ed è chiaro che questo compromette le relazioni e carica chi deve gestire una struttura di un grande peso emotivo perché non permette di entrare in contatto con i bisogni.

L’istituzionalizzazione nella giornata del 3 ottobre come ricorrenza riconosciuta oggi mostra tutti i suoi limiti: quello spazio politico e di parola conquistato anche attraverso il lavoro di sensibilizzazione che è stato ed è del Comitato 3 ottobre, oggi purtroppo rimane in una dimensione simbolica, in cui il ricordo delle vittime non porta con sé una capacità trasformativa. Questo in particolare rispetto alla capacità delle istituzioni di cambiare prospettiva, perché invece a livello di società civile le cose si muovono.

Milano è osservatorio privilegiato, con le comunità straniere che sono quasi un quarto della popolazione residente. In questi ultimi anni le diaspore hanno prodotto, in termini di discorsi, presenza sociale e proposta culturale, qualche cosa di simile agli anni ‘90 e questo significa che la società potrà diventare realmente più inclusiva e più attenta alla giustizia sociale con una proposta che arriva anche dalle comunità diasporiche.

 

Youssef Moukrim: Per il 3 ottobre 2023, Giornata della memoria e dell’accoglienza, a Verona abbiamo lanciato un presidio alle 18.30 in Piazza Bra coinvolgendo tutte le realtà associative del territorio. Riteniamo fondamentale ricordare come da quel 3 ottobre 2013, in cui sono morte 368 persone, da quel “mai più”, nulla si è fatto. Sembrava che non si dovesse accettare mai più che le persone morissero attraversando il Mediterraneo per arrivare in Italia; si era parlato di dare la cittadinanza ai morti; c’era stata la visita di tutti i capi di Stato; si è deciso in qualche modo di procedere alle operazioni di soccorso in mare.  Poi, due anni dopo, queste operazioni sono state ritirate e assistiamo a un progressivo erigersi di muri ai confini Sud dell’Unione Europea e continue morti, stragi di Stato, omissioni di soccorso connesse a scelte politiche, come con l’ultimo naufragio che c’è stato a Cutro.

A livello locale si è riattivata quella rete che era nata dopo la strage di Cutro e aveva deciso di scendere in piazza. Purtroppo, le proteste non sono servite. A Verona, come in altri territori di questo Paese, si sono viste iniziative di piazza ma la tendenza governativa è stata subito chiara: approvazione del Decreto Cutro, abolizione della protezione speciale, creazione di migliaia di irregolari e limitazioni di quello che è il diritto di asilo.

Sono state aumentate le pene detentive per chi commette reati, il genere di reati che commettono sul territorio persone straniere che non hanno avuto la possibilità di regolarizzarsi e istituzionalizzarsi come alternativa valida alla strada. E ancora abbiamo assistito a un potenziamento dei Centri di Permanenza e Rimpatrio (CPR), alle dichiarazioni di Meloni sul fatto che ne vada costruito uno per regione, e non sono state solo parole ma concetti cristallizzati all’interno di decreti – prolungando lo stato di detenzione in questi centri da 3 mesi a 18 mesi. La tendenza della politica è quindi chiara, e la vediamo anche con il provvedimento che richiede 5000 euro alle persone che arrivano sulle nostre coste solo per non essere trattenute all’interno dei CPR.

E in tutto questo è importante sottolineare che non siamo di fronte a un’emergenza in quanto il fenomeno è strutturale: chi lo studia e chi lo vive sa bene che non ci siamo svegliati l’altro ieri con immigrati alle porte dell’Europa. Serve quindi ricordare i motivi per cui le persone continuano a morire ammazzate: i mancati canali di accessi sicuri in questo paese e al contempo gli ostacoli a regolarizzarsi. Infine, assistiamo a un sistema di accoglienza che viene costantemente smantellato ed è stato ridotto all’osso. Si preferisce investire in strutture detentive per il rimpatrio, privando della dignità migliaia di persone, piuttosto che provare a ragionare e investire sull’integrazione e formazione. La Giornata della Memoria e dell’accoglienza non può che essere un momento per ribadire la necessità di un superamento di queste politiche di chiusura, di provare a immaginare soluzioni differenti. Chiaramente se dieci anni dopo quel 2013 le morti sono salite a più di 25.000, e si tratta di una stima, vuole dire che qualcosa non ha funzionato, ed è giusto che ci interroghi, che ci mobiliti, che ci faccia prendere posizione.

Che obiettivi vi siete dati con le iniziative che avete organizzato per la Giornata – la tavola rotonda a Milano 3 Ottobre Un arcipelago di storie sugli sguardi italo-eritrei al Municipio 3 e la manifestazione Basta morti in mare a Verona?

Rahel Sereke: Abbiamo sentito la necessità di riconoscere la ricchezza di riflessione che si è generata anche a partire dalla tragedia del 3 ottobre 2013, e per la comunità Habesha in modo particolare. Questa è una comunità che vive grandi lacerazioni, dopo decenni in cui è stata molto unita e molto presente nelle città, dal festival di Bologna dagli anni ‘60 in poi, a Roma e Milano e le altre città medio grandi. C’è una ferita profonda per quanto sta avvenendo dagli anni 2000, per questo continuo e progressivo flusso migratorio di tantissimi giovani che sta mettendo in discussione sia il presente dell’Eritrea e in parte dell’Etiopia, con la situazione in Tigray, sia per il radicamento nella società europea e la possibilità di essere realmente un riferimento per le persone neoarrivate. 

Oltre a questa crisi ci sono però aspetti positivi, perché si sono generati molti percorsi personali ma anche collettivi e questo è l’obiettivo che ci siamo posti di raccontare nell’iniziativa ospitata nel Municipio 3, dove sono consigliera. L’idea infatti è che non sia una riflessione interna ma proiettata sulla città, per incontrare e dialogare. 

Il parterre di ospiti è ricco e va da Ariam Tekle, attivista e animatrice culturale che in questi ultimi anni, oltre ad aver realizzato il documentario Appuntamento ai marinai, ha creato il podcast Black Coffee dedicato alle “nuove” cittadinanze e al riconoscimento di fenomeni che non sono solo culturali ma anche strutturali, e da ultimo ha costruito la piattaforma Blackness Fest per valorizzare i profili culturali e politici delle persone afro-discendenti, un festival che tra l’altro sarà a Milano il weekend del 6-7-8 ottobre.

Gli e le altre ospiti sono Asli Haddas, un’imprenditrice e animatrice culturale che all’interno del Gogol Ostello propone iniziative basate sull’approccio interculturale, e presenterà un nuovo progetto su Porta Venezia e sull'evoluzione della lingua della comunità Habesha nell’incontro con l’italiano, un incontro ovviamente storico tra Italia Eritrea Etiopia che affonda nella storia coloniale e che ancora oggi plasma le dinamiche della lingua.

Ci sarà Giuseppe Grimaldi che è un antropologo che ha visto nel post strage di Lampedusa un momento di attenzione particolare per la comunità eritrea e ha realizzato la ricerca comparativa Fuori gioco che aveva come oggetto l’esperienza dei giovani di origine etiope tra Milano, Londra e Addis Abeba.

Ci sarà Daniel Lemlem aka Willy che è stato animatore della storica manifestazione del 2013 a Milano dopo la strage e ha aperto un locale che è diventato un luogo di ritrovo e di grande importanza nel quartiere di Porta Venezia, luogo dove l’immigrazione eritrea che ai tempi scelse quel quartiere, che oggi ha 70-80 anni, entrava in relazione con le e i più giovani. Infine, insieme agli ospiti italo-eritrei nati a Milano e "milanesi doc", anche Tsegehans Weldeseslassie conosciuto come Ziggy che è un giovane rifugiato arrivato in Italia proprio il 3 ottobre ma del 2007. Per lui ovviamente questa data ha un valore molto personale: anche lui è arrivato in Italia con i viaggi della speranza e ha fatto diventare la sua esperienza collettiva, non solo perché ha co-fondato Cambio Passo, ma perché ha fatto il mediatore nei centri di accoglienza per i giovani, in condizioni migliori di oggi. Lui racconta la sua storia in libro Il mare davanti, grazie a Erminia Dell’Oro, e penso che questa sia una storia importante. Una nota amara sui processi di istituzionalizzazione di esperienze di valore è che oggi ci troviamo con persone a Porta Venezia che dormono per strada senza uno spazio che li accoglie. 

 

Youssef Moukrim: La rete di realtà che si sta sentendo a Verona è partita dall’idea di riprendere in mano quanto fatto a marzo dopo la strage di Cutro per continuare a prendere posizione collettivamente. Si è allargato a più realtà possibili. Non si tratta ancora di uno zoccolo duro di un movimento antirazzista a livello locale, però sicuramente può essere un punto di partenza, da una parte per confrontarsi sulle visioni che ogni singola realtà ha rispetto al fenomeno migratorio, e dall’altra per provare a ragionare su quali iniziative, nonostante le molteplici differenze, potrebbero essere messe in campo.

Si ragionava di iniziare a lavorare insieme sul coinvolgimento di studentesse e studenti in attività, o di organizzare workshop rivolti alle realtà stesse, per tenere viva la riflessione su questa tematica e cercare dei punti in comune. Infatti, oltre alla comune indignazione servirebbe anche provare a condividere linguaggi, pratiche e quant’altro. Il coinvolgimento della comunità migrante c’è, nel senso che quelle associazioni che si sono decise di rappresentare alcune comunità ci sono, come la Comunità Tunisina di Verona, sono ben contente di scendere in piazza. Il lavoro da fare resta tanto, perché oltre a coinvolgere le diverse sigle bisognerebbe mettersi a ragionare assieme su cosa fare, per provare ad avere dei punti di vista comuni, discussi e non soltanto immaginati o presunti. 

Se poteste consigliare un libro a studentesse e studenti con chiavi di lettura interessanti per riflettere sul tema delle migrazioni oggi, quale sarebbe?

Rahel Sereke: Il mare davanti (Piemme, 2016) è il libro di Tsegehans Weldeseslassie ed è la storia della sua esperienza personale che è anche collettiva, di viaggio attraverso deserto e mare e attraverso l’accoglienza. Si tratta di una storia di emancipazione: oggi lui è responsabile delle risorse umane per un'agenzia di comunicazione, è contento, ha messo su famiglia. Il suo è uno sguardo molto specifico su un'esperienza che non è di tanti, perché ricordiamo che la maggior parte degli immigrati continua a muoversi in aereo.

Aggiungo un titolo che apre prospettive innovative, Io sono confine di Shahram Khosravi (Elèuthera, 2019), perché fa dell’esperienza personale di migrazione, un’occasione per riflettere sul cambiamento. Noi come persone siamo continuamente chiamate a discutere e rimettere in discussione quello che siamo - è un’esperienza che le persone migranti fanno ed è un’esperienza anche fisica, ma non è solo quello. Il tema del libro è proprio accogliere il cambiamento, riconoscere le capacità trasformative nelle esperienze individuali, i limiti che la società impone come limiti che possiamo superare. In questo sforzo quasi metafisico dell’autore c’è la possibilità di dare un senso diverso al confine: non può essere la necessità di chiudersi al mondo, che in ogni caso è impossibile fare perché fa stare solo male.

Io sono confine
Io sono confine Di Shahram Khosravi;

Nell'investigare quel «feticismo dei confini» che contrassegna la nostra epoca, Khosravi si muove nel tempo e nello spazio, mettendo insieme le riflessioni sul tema di autori come Kafka, Benjamin e Arendt con l'analisi dei flussi migratori in atto. Ed è proprio questo inedito «sguardo illegale» che consente di mettere a nudo le retoriche delle democrazie occidentali insieme al perverso sfruttamento planetario dei migranti, trasformando questa ricerca sul campo in una vera e propria cartografia etica e politica del mondo contemporaneo.

Youssef Moukrim: Confessioni di un trafficante di uomini di Di Nicola ed è un libro che consiglierei proprio in questo momento con tutta la propaganda e la confusione che c’è tra trafficanti e scafisti, perché potrebbe essere un buon libro da leggere per capire quali sono i meccanismi che si creano al di là dei nostri confini e anche tutto il giro di soldo che c’è dietro il fenomeno delle partenze. Lui è un docente, che ha provato a imbarcarsi con i trafficanti e a raccontare quel che vivevano le persone durante la tratta.

Confessioni di un trafficante di uomini
Confessioni di un trafficante di uomini Di Andrea Di Nicola;Giampaolo Musumeci;

Per la prima volta parlano gli uomini che controllano il traffico dei migranti. Un sistema criminale che gli autori di questo libro hanno potuto raccontare dopo aver percorso le principali vie dell'immigrazione clandestina, dall'Europa dell'Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ecco cosa si muove dietro la massa di disperati che riempiono le pagine dei giornali. Una montagna di soldi, un network flessibile e refrattario alle più sofisticate investigazioni.

Per approfondire il tema dell'immigrazione

La frontiera

Di Alessandro Leogrande | Feltrinelli, 2017

Io Khaled vendo uomini e sono innocente

Di Francesca Mannocchi | Einaudi, 2019

Il secolo mobile. Storia dell'immigrazione illegale in Europa

Di Gabriele Del Grande | Mondadori, 2023

Troppo neri

Di Saverio Tommasi | Feltrinelli, 2023

Il fuorilegge. La lunga battaglia di un uomo solo

Di Mimmo Lucano | Feltrinelli, 2020

Il gioco sporco. L'uso dei migranti come arma impropria

Di Valerio Nicolosi | Rizzoli, 2023

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