La redazione segnala

Quando crollò il ponte Morandi a Genova

Questo è l’inizio del vago ma progressivo senso di alienazione da queste brave persone che mi va crescendo dentro durante la fase dell’Orrore in cui la gente scappa dalle macerie e dal polverone

David Foster Wallace, La vista da casa Thompson

Se chiedete in giro, un bel po’ di persone si ricorderanno che quell’estate non era delle più calde. Pioveva spesso e l’aria era sempre pulita, almeno da queste parti – queste parti sono la Liguria e l’entroterra, quei posti che se li nomini vi rispondono sempre «ah! Masone, dov’è l’uscita dell’autostrada», oppure «Busalla, certo, quella delle ciminiere». E il giorno del crollo, alla vigilia di un ferragosto che già non si preannunciava rilassante (ma se piove la griglia dove la mettiamo? e se facciamo il falò e fa freddo?), a Genova pioveva che dio la mandava.

Non è che, come racconta Foster Wallace, tutti sanno cosa stavano facendo il giorno del crollo. È un trauma collettivo più contenuto, ma per quelle persone che vivono da queste parti dove l’aria quell’estate era pulita perché pioveva spesso, be’, il trauma c’è stato, è stato bello grosso e il ricordo di cosa stavano facendo ce l’hanno ben presente. E, come sempre succede quando capitano queste «enormi cose inspiegabili», la reazione è l’incredulità, la minimizzazione. Quando mi arriva un messaggio da amici che scrivono è crollato un ponte qua a Genova, la prima cosa che penso è che chissà quale ponticello mal messo su uno degli ancora più mal messi rigagnoli di Genova è venuto giù nella notte senza che nessuno se ne accorgesse.

Si inizia a capire che è successo qualcosa di grave quando – per chi è cresciuto con la televisione, questo valeva più di una sirena antiaereo – un giornalista o una giornalista raffazzonati, scomposti e visibilmente in affanno, dopo un’inspiegabile sigla del telegiornale appena abbozzata, esordiscono con «interrompiamo la programmazione per dare una notizia drammatica». E lì s’era capita la gravità: il giorno del crollo era crollato qualcosa di grosso. Era crollato il ponte Morandi, che all’improvviso divenne familiare a tutti.

A questo punto emerge che nessuna delle persone con cui sto guardando l’Orrore – neppure quelle poche che sono andate a vedere Cats durante una qualche sorta di viaggio di gruppo con la parrocchia nel 1991 – hanno anche solo la più pallida idea della topografia di Manhattan e non sanno, per esempio, quanto sono a sud il Financial District e la Statua della Libertà; bisogna mostrarglielo facendo segno col dito oltre l’acqua di fronte allo skyline che tutte (grazie alla tv) conoscono tanto bene

David Foster Wallace, La vista da casa Thompson

Il ponte crolla alle 11.36. Alle 11.48 cominciano a circolare dei video: qualcuno ha ripreso il disastro, nella tormenta – paiono immagini prese da dentro un uragano – si vede un lampo poi il pilone che crolla e si sente qualcuno che dice «oddio». A mezzogiorno ci sono immagini che rimbalzano dappertutto, social, whatsapp, televisione. C’è un furgone verde acceso di una nota catena di supermercati che si è fermato appena prima dello squarcio, ed è una di quelle foto che sai già che diventerà un simbolo. Non si sa ancora bene di che cosa – della fortuna, della prontezza, della caducità della vita, della sua ingiustizia –, ma quel furgone a due passi dal baratro fa venire le vertigini.

Le persone che partecipano del trauma collettivo stanno in silenzio e hanno il terrore di sentire le parole di qualcun altro. Il 14 agosto la gente parte e chi deve andare dal Levante al Ponente e viceversa passa di lì, e le domande si affollano: mio figlio era più avanti o più indietro, in quel momento? i miei amici erano partiti stamattina, sicuramente l’avevano passato già da un po’, no? poi sotto non c’era nessuno, solo capannoni e la ferrovia. Chi invece il trauma lo vive da più lontano e ha tutto al sicuro esorcizza pensando a quella volta che era passato sul ponte. Sul Morandi ci passo ogni giorno per andare a lavoro! Lo dicevo che era in condizioni pessime. Come fa a reggere una cosa costruita così tanti anni fa con tutti i camion che ci passano sopra?

Così tanti anni fa è il 1967, e il ponte Morandi – che è il viadotto del Polcevera, ma poco importa perché nessuno lo conosceva così – prende il nome dall’architetto che l’aveva progettato. Ai più piccoli veniva detto che era il ponte di Brooklyn, perché quando ci passavi sopra c’erano questi piloni altissimi che ti sembrava di essere a New York. Ci passavano davvero tutti, a Genova, perché era la via più comoda per andare da una parte all’altra della città, e quindi tanti di quei ci passavo sempre erano veri.

Si scopre che il motivo del tracollo emotivo della povera vecchia signora R*** tutta tendini, in cucina, è che una nipote o qualcuno di simile sta facendo una qualche specie di stage al Time-Life Building, o come cavolo si chiama, del quale la signora R*** e chiunque sia riuscita a chiamare finora sanno solo che è un grattacielo di altezza vertiginosa da qualche parte di New York, ed è fuori di sé dall’angoscia

David Foster Wallace, La vista da casa Thompson

Il giorno del crollo, che pioveva che dio la mandava anche se era il 14 agosto, sono morte 43 persone. Per chi il trauma collettivo l’ha vissuto da lontano sono 43 nomi per cui dispiace. Chi era un po’ più vicino – non geograficamente, questa volta: tra loro si leggono cognomi di Napoli, Messina, Romania, Francia – in quei 43 nomi sente che ha sfiorato qualcosa. C’è la disperazione e la profonda consapevolezza di essere vivi per una sfrontata coincidenza. Ci vogliono cinque giorni per identificarli tutti, ma dev’esserne bastato uno per capire che chi non era tornato a casa o non aveva mandato le foto dell’albergo delle vacanze aveva percorso quello spazio preciso in un ancora più preciso lasso di tempo, con una puntualità davvero violenta.

Da queste parti, per quei 43 nomi, si cercano delle risposte. Pioveva spesso, ma non è per quello che il ponte è crollato, né perché ci passavano sopra i camion tutti i giorni, né per una coincidenza sfortunata. Il ponte Morandi è crollato il 14 agosto 2018 per tante ragioni che però hanno poco a che fare con la fortuna e tanto con la giustizia sociale. Certo, va detto che oggi c’è un nuovo ponte e che l’ha progettato Renzo Piano, ed è bellissimo e con 43 lampioni a illuminarlo: quando si costruiscono ponti è sempre una buona notizia. Una notizia ancora migliore sarebbe imparare a prendersene cura.

Considera l'aragosta
Considera l'aragosta Di David Foster Wallace;

I brani riportati sono tratti dal libro di David Foster Wallace "Considera l'aragosta", una raccolta di racconti per scoprire gli Stati Uniti nella sua cultura più profonda, dall'11 settembre alla vita della classe media.

Per capire e raccontare il crollo del ponte Morandi

Dove crollano i sogni

Di Bruno Morchio | Rizzoli, 2020

Il crollo. Ponte Morandi, una strage italiana

Di Marco Grasso | Ponte alle Grazie, 2023

Ponte Morandi. Il sesto senso di un soccorritore

Di Alessandro Basile | Round Robin Editrice, 2020

Sotto il ponte Morandi

Di Francesca Rovereto | ERGA, 2018

Il ponte di Genova. Viadotto Morandi: una cronaca

Di Stefano Mura | Fiorina, 2018

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