Aneddoto editoriale o leggenda, uno dei più belli sul Nobel per la letteratura riguarda Sonny Mehta, il venerabile editor di Knopf - nobilissima e superletteraria casa editrice newyorkese - morto alla fine del 2019 dopo 50 anni di luminosa carriera. Così circolava alla Buchmesse (la Fiera del Libro di Francoforte), qualche decina d'anni fa, prima dei social, di internet e della girandola delle fake e dei “sentito dire”. Mehta non l'ha mai smentito.
Suona così, più o meno: Gabriel Garcia Marquez vince il Nobel per la letteratura nel 1982; all'epoca era considerato uno scrittore buono per i palati fini che avevano apprezzato la scrittura innovativa e fantasiosa (il realismo magico) di Cent'anni di solitudine, uscito nel 1967. Un enorme successo mondiale ma per il grande pubblico americano, molto centrato sulla letteratura di casa e sui generi (anche più di quanto non lo sia oggi), era comunque un autore esotico, uno sconosciuto. Nel 1985 esce L'amore ai tempi del colera, Mehta lo pubblica e decide, come racconta in un'intervista al NYT del 1988, di "prendersi dei rischi". Lo faceva sempre, ma in questa particolare occasione aveva un obiettivo ambizioso: riuscire a vendere il nuovo libro di Marquez al grande pubblico perché si trattava di una grandissima storia d'amore, ancor oggi considerata una delle più belle del secolo. «Penso di essere orientato verso la vendita e il marketing più di altri colleghi» dice nell'intervista «vendere mi interessa. Non è perché ci chiamiamo Knopf che non dobbiamo vendere libri come gli altri editori». Nel suo discorso alla forza vendita - ovvero agli agenti che vanno di libreria in libreria a presentare il libro ai librai e quindi a raccogliere i loro ordini per le copie - impone, "pena il licenziamento", di non ricordare ai librai che Marquez ha preso recentemente il Nobel, un premio letterario che negli Stati Uniti significava automaticamente "lettura difficile" e, dunque, difficilmente vendibile. Sonny Mehta ci azzecca (e ci azzeccherà anche con altri nove Nobel, tra i quali Toni Morrison, 1993, e Kazuo Ishiguro, 2017), non sappiamo se proprio grazie a questo stratagemma. Ma tant'è: Marquez (o quantomeno, L'amore ai tempi del colera) arriva anche al grande pubblico americano dei romance e della letteratura d'evasione.
L'aneddoto, oltre che presentare una fotografia di come si intendeva la fiction letteraria negli anni Ottanta (le cose in fondo non sono molto diverse oggi per la fiction di quel livello), ci riporta al modo in cui l'industria editoriale, la stampa - e di conseguenza gran parte del pubblico - intende questo premio, cioè come una sorta di Oscar alla carriera.
Dove per “carriera” si intendono notorietà, successo di pubblico, attribuzione di universalità…
Negli ultimi decenni, il Nobel per la Letteratura, l'unico dedicato ad un'arte, ci ha sorpreso con scelte inaspettate: Wislawa Szymborska, Dario Fo, Bob Dylan; più recentemente il cinese Mo Yan (2012), censurato dopo i massacri di Piazza Tienanmen, la bielorussa Svjatlana Aleksievič (2015), la polacca Olga Tokarczuk (2018), l'americana Louise Glück (2020) per arrivare ad Abdulrazak Gurnah l'anglo-tanzaniano, cantore degli effetti del colonialismo e del "destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti", premiato lo scorso anno. Scelte politiche? Forse, anche.
Ma Anders Olsson, presidente della commissione, ed Ellen Mattson del comitato del premio ci tengono a sottolineare che l'orientamento recente è, semmai, una più decisa considerazione della scrittura femminile, scelte che smarchino il premio da una tendenza eurocentrica e una più ampia considerazione di scritture non necessariamente poetiche e narrative: uno scienziato che scrive bene, ma veramente bene, potrebbe ambire al premio.
Anche queste sono scelte politiche in senso stretto.
Comunque sia, la scrematura delle oltre 200 candidature che arrivano dalla rete di collaboratori, delegati dal premio, negli ambienti dell'accademia, della critica e delle organizzazioni letterarie, «It's only about literary quality». Qualità e continuità nell'eccellenza letteraria, originalità e soprattutto talento sono i principi che guidano le scelte. Si premia, insomma, una "voce" letteraria che sia tale e che sia eccellente. Questo, va da sé, non ha necessariamente a che vedere con una notorietà già conquistata e neppure con l'exploit di una specifica opera. Ed è per questo, sottolinea Mattson, che molto difficilmente sono o saranno premiati i giovani perché «ci vuole molto tempo per diventare un bravo scrittore».
In altre parole, che ci piaccia o meno, il Nobel non è un Oscar alla carriera, almeno non nel senso che gli dà l'Academy Award. Ogni anno la lista dei presunti candidati (visto che quelli reali sono tenuti rigorosamente segreti: chissà come fanno...) sembra basarsi troppo sulle aspettative generate dal successo editoriale senza considerare ciò che il comitato del Nobel ha esplicitamente dichiarato. Quello che per noi lettori può essere una "scoperta", qualcosa in qualche modo proiettato nel futuro, non lo è per la giuria che sembra spesso voler cogliere (è una mia impressione) autrici e autori nel momento in cui più o meno raggiungono una "propria" ed evidente maturità letteraria: possono volerci decine e decine di libri come per Peter Handke, classe 1942, Nobel nel 2019, o molto meno come per Olga Tokarczuk, Nobel 2018, nata nel 1962: la più giovane premiata dal 2000 ad oggi, un'eccezione assoluta.
Forse per qualche grande della letteratura quel momento di vibrante maturità è già passato.
Sia come sia, forse dovremmo intimamente de-brandizzare il Nobel, destrutturare la nostra percezione, staccarla dalla grancassa mediatica. Forse dovremmo tener presente che ci sono migliaia di ottime scrittrici e scrittori viventi, ma che il Nobel è uno per anno. Decidere se l'istituzione ci convince (è un'opzione), conferirgli o meno autorevolezza mentre cerchiamo di coglierne i criteri. O di proiettare i nostri criteri su quelli di un’entità che non è il nostro miglior amico su Facebook, ma altro.
C'è un modo: basta scorrere la lista dei premiati a partire dall'anno in cui ci consideriamo lettori, e quindi andare a vedere quanti anni avevano quando scrittori e scrittrici, poetesse e drammaturgi sono stati premiati, perché - ha proprio ragione Mattson - ci vuole molto tempo per diventare un bravo scrittore. Talvolta una vita intera.
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