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L’inesauribile ricerca di Émile Zola sulla natura umana

A mio parere non si può sostenere di aver visto qualcosa finché non lo si è fotografato

Quando scrisse Nanà lo chiamarono pornografo. Quando invece scrisse Germinale, sulle condizioni disumane dei minatori di Montsou, gli diedero del sovversivo. Per non parlare di quando scrisse J’accuse: un anno di carcere e tredicimila franchi di multa per vilipendio all’autorità. Insomma, Émile Zola fu un sacco di cose, e tra queste figurava il romanziere: non fu la più scandalosa, ai tempi, ma col senno di poi la più importante, forse, sì.

Zola incontrò la letteratura quasi per caso, e senz’altro gli fu difficile dedicarcisi a tempo pieno. La sua famiglia non era né eccessivamente ricca, né miseramente povera, ma quando il padre morì Émile aveva solo sette anni, e la perdita segnò inevitabilmente il suo futuro. Nella cittadina di provincia di Aix-en-Provence, frequenta brillantemente le scuole e il collegio fino a diciott’anni. Prova una sorta di delusione per il mondo che lo circonda, grigio e monotono, placata da due elementi fondamentali: l’amicizia con Paul Cézanne al Collège Bourbon e la scoperta dei grandi scrittori romantici francesi, da Victor Hugo ad Alexandre Dumas a Paul Féval. La scuola non va granché bene, viene bocciato alla maturità classica due volte, la madre è impegnata in una questione giudiziaria che la sta prosciugando economicamente e psicologicamente e i suoi pochi scritti non hanno successo. Trova un lavoro nella burocrazia dei Docks Napoleon, nell’amministrazione della dogana, e il suo lavoro, tanto frustrante quanto ripetitivo, lo schiaccia e non gli lascia tempo per immaginare né per scrivere.

Alzo gli occhi e vedo la triste realtà; la stanza impolverata, colma di vecchie carte, popolata da una folla di funzionari per la maggior parte stupidi

In questo contesto a tinte spente e polverose, Zola scopre il positivismo. E, sebbene possa apparire come una scoperta intellettuale e casuale, è il seme filosofico che porterà alla nascita della sua produzione più famosa, quella del naturalismo letterario. Il principio che guida questo modo di scrivere romanzi è tanto semplice a dirsi quanto complesso da restituire sulla pagina: si tratta, in buona sostanza, di raccontare senza interferire, con il proprio stile, nell’oggetto del racconto. Una narrazione, potremmo dire, scientifica del reale, anche perché scientifici sono i presupposti di Zola quando scrive. La natura umana, infatti, non differisce in niente dal resto che accade nel mondo fisico, perché ogni azione, sentimento, emozione o passione è riassumibile in un intricato susseguirsi di cause ed effetti.

Al di là della speculazione filosofica, che cosa significa questo, nel concreto? Be’, che i romanzi di Zola sono come delle fotografie della realtà e dei complessi meccanismi che la determinano. L’autore tende a sparire dietro l’obiettivo in modo da restituire le cose come sono, nella loro purezza, appunto, di semplici cose. Si potrebbe scambiare, tutto questo, per una cronaca giornalistica, quindi: un mero susseguirsi di fatti impersonali. È il modo di interpretare questo movimento, per esempio, di Giovanni Verga e di Matilde Serao, profondamente influenzati dal naturalismo francese. Eppure in Zola la narrazione non è del tutto onesta, non del tutto innocente. Se il principio del verismo è di sospendere il giudizio in favore del crudo evento, per Zola il racconto deve avere uno scopo: mostrare la verità affinché gli esseri umani, di fronte a lei, possano migliorare.

Alla fine, questo scopo nobile e a tratti utopico, potrebbe avere a che fare con una certa filosofia politica del tempo. Mancava, del resto, agli appellativi di Zola anche quello di marxista.

Ho una sola passione, quella della luce in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità

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Conosci l'autore

Émile Zola è stato uno scrittore francese. Considerato il padre del naturalismo, tentava di racchiudere l’uomo nei suoi romanzi, divenuti indimenticabili per la precisione chirurgica dello sguardo autoriale.Rimase presto orfano e trascorse l’infanzia e la giovinezza in gravi ristrettezze economiche. Prima di raggiungere il successo con i suoi romanzi, visse lavorando presso la casa editrice Hachette e facendo il giornalista, attività che non abbandonò mai del tutto. Considerato il caposcuola del naturalismo, fu al centro di numerose polemiche artistiche, impegnandosi, tra l’altro, nella difesa di Manet e degli impressionisti (I miei odii, Mes haines, 1866). Ma l’avvenimento più clamoroso della sua vita è legato al caso Dreyfus: Z., schieratosi con gli innocentisti, denunciò il complotto militarista e reazionario con la famosa lettera aperta (J’accuse) pubblicata su «L’Aurore» (1898). Condannato a un anno di carcere, per evitare la prigione riparò in Inghilterra, da dove tornò l’anno successivo, essendo stato annullato, nel frattempo, il giudizio contro Dreyfus. Dopo Teresa Raquin (Thérèse Raquin, 1867), la sua prima opera pienamente riuscita, nel 1868 Z. concepì il progetto di un ciclo di romanzi che doveva prendere in esame tutti gli strati della società attraverso le vicende di vari personaggi, tutti appartenenti allo stesso ceppo familiare, ineluttabilmente condizionato da malattie e vizi ereditari. Nacquero così I Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il secondo impero (Les Rougon-Macquart, histoire naturelle et sociale d’une famille sous le seconde empire), un ciclo di romanzi che, iniziato nel 1871 con La fortuna dei Rougon (La fortune des Rougon), comprese 20 volumi e si concluse nel 1893 con Il dottor Pascal (Docteur Pascal). Di essi ricordiamo: Il ventre di Parigi (Le ventre de Paris, 1873), sulla dura realtà popolare della città; L’ammazzatoio (L’assommoir, 1877), centrato sulla piaga sociale dell’alcoolismo; Nanà (Nana, 1880), ambientato nella buona società borghese; Pot-Bouille (1882); Il paradiso delle signore (Au bonheur des dames, 1883); Germinale (Germinal, 1885), che descrive la vita e le lotte sociali di un distretto carbonifero; La bestia umana (La bête humaine, 1890); La disfatta (La débâcle, 1892). Nel 1880 era apparsa una raccolta di novelle di Z., Maupassant, Huysmans, Céard, Alexis e Hennique, che costituì una specie di manifesto della scuola naturalista: Le serate di Médan (Les soirées de Médan). Concluso il ciclo dei Rougon-Macquart, Z. pubblicò la trilogia Tre città (Trois villes): Lourdes (1894), Rome (1896) e Paris (1898), in polemica con la chiesa cattolica e le superstizioni su cui si fonderebbe la fede religiosa. Il libro su Roma fu scritto in seguito a un viaggio in Italia (1894) e confermò il grande successo di pubblico e di critica di cui Z. godeva nel nostro paese. L’ultimo progetto era ancora un ciclo, I quattro vangeli (Les quatre évangiles), di cui uscirono Fecondità (Fécondité, 1899), Lavoro (Travail, 1901) e, postumo, Verità (Vérité, 1903); il quarto romanzo, che doveva intitolarsi Giustizia (Justice), non poté essere scritto per la morte improvvisa dell’autore, che avvenne nel sonno per le esalazioni di una stufa (e sulla quale il sospetto di un attentato non venne mai del tutto dissipato). Z. ha lasciato moltissime altre opere narrative, teatrali, melodrammatiche, di poesia, di critica letteraria e artistica.L’ambizione di Z. fu di essere lo storico della vita privata della sua epoca (secondo impero e terza repubblica), così come Balzac lo era stato dell’età della restaurazione e della monarchia di luglio. Se Balzac gli aveva suggerito il disegno e le dimensioni dell’opera, peculiare di Z. fu il tentativo di interpretare i fenomeni morali e sociali attraverso le dottrine, alquanto semplificate, di Taine (determinismo) e di Darwin (ereditarietà), e di trasferire alla letteratura il metodo sperimentale delle scienze (Claude Bernard). Ma la vitalità della sua opera, il grande interesse artistico e storico che essa ancora conserva, deriva dalla felice contraddizione tra lo schematismo ingenuo del metodo e della «filosofia» e il temperamento dello scrittore, la sua immaginazione, la sua indisciplina emotiva e stilistica. La sensibilità sociale e l’onestà intellettuale di Z. gli permisero di superare spesso i limiti del naturalismo positivistico e il facile culto del progresso. Mentre le correnti estetizzanti e decadenti che ormai dominavano la letteratura sembravano non accorgersi neppure del problema sociale, Z. affrontò il conflitto fondamentale del suo tempo, la lotta tra classe proprietaria e proletariato, dandone una rappresentazione potente, veritiera e impietosa. «Ho una sola passione, quella della luce in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità».

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