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Roe vs Wade: a 50 anni dalla sentenza sull'aborto negli Stati Uniti

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata presso il Liceo artistico A. Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata presso il Liceo artistico A. Volta di Pavia

Norma McCorvey ha poco più di vent’anni quando aspetta il suo terzo figlio, gli altri due sono stati allontanati già dalla famiglia per la sua tossicodipendenza e per problemi con la legge. In più il marito, padre dei suoi bambini, è un uomo violento. È il Texas del 1970. E sebbene in molti Stati fosse possibile scegliere liberamente di abortire per motivi di salute, in Texas no. La madre poteva benissimo rischiare la sua vita.

Così, McCorvey entra in contatto con un gruppo di avvocate, fra queste Sarah Weddington e Linda Coffee, che possono aiutarla a perseguire la sua volontà di abortire, provando a cercare un’altra via, attraverso una legge sulla privacy. Ma i rischi sono troppi e lei non può permettersi né la fama né di pagare. Le avvocate la sostengono comunque e la fanno presentare come Jane Roe (uno pseudonimo che veniva utilizzato dalle donne che non volevano comparire in tribunale con il loro nome).
Dall’altra parte c’era Henry Wade, procuratore distrettuale della cittadina texana in cui viveva Norma.

Questo è il dietro le quinte di ciò che diede vita a quella che è stata conosciuta poi come Roe vs Wade del 22 gennaio 1973, sentenza storica che accese il dibattito sull’aborto negli Stati Uniti e dichiarava:

• l'aborto è possibile per qualsiasi ragione la donna lo voglia fino al punto in cui il feto diventa in grado di sopravvivere al di fuori dell'utero materno, anche con l'ausilio di un supporto artificiale. Questa condizione si verifica in media intorno ai sette mesi (28 settimane), ma può presentarsi prima, anche alla 24ª settimana;
• in caso di pericolo per la salute della donna, l'aborto è legale anche qualora la soglia oltre il quale il feto è in grado di sopravvivere al di fuori dell'utero materno sia stata sorpassata.

Nel frattempo Norma McCorvey partorì e non tenne con sé suo figlio.
La legge della privacy a cui le avvocate facevano riferimento si opponeva alla presenza statale all’interno delle vicende private di una persona. Da questo punto di vista, la legge del Texas venne dichiarata incostituzionale, ma non permise di certo a Wade (o allo Stato) di fermarsi dal divieto ai medici di praticare l’interruzione di gravidanza volontaria.
Gli aborti clandestini c’erano prima e continuarono a esserci dopo.
Ma con la sentenza Roe vs Wade cambiò qualcos’altro. Cambiò l’opinione pubblica e cambiarono le proteste. O meglio, si infervorarono e si accesero i dibattiti fra coloro che sostenevano che l’aborto dovesse essere una libera scelta della donna (pro-choice) e chi invece era assolutamente contrario (pro-life).

La Roe vs Wade però, siglò un evento senza precedenti: una sentenza a cui fare riferimento a livello nazionale ma non solo. Era anche una possibilità di scelta, vera e concreta, che riguardava esclusivamente le donne in gravidanza. Nessun altro.

Nel 2022 però, con la sentenza Dobbs contro l'Organizzazione per la Salute delle Donne di Jackson, la decisione è tornata agli Stati Federali e, per molti di loro, la legge sull’aborto è ancora vigente. Un passo indietro che segna una retrocessione ingiusta verso ciò che avvenne cinquant’anni fa. Così, la Corte Suprema supera la Roe vs Wade. Ma non la supera nella sua portanza, nel bacino di sostenitori di una legge che promuove una libera scelta.

La vincitrice del Premio Nobel, Annie Ernaux, nel suo libro L’evento, incentrato sulla sua esperienza sull’aborto, scrive:

Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. Tanto più che il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che «le cose sono cambiate». Ciò che è accaduto resta coperto dallo stesso silenzio di prima. È proprio perché nessun divieto pesa più sull’aborto che, mettendo da parte la percezione collettiva e le formule necessariamente semplificate imposte dalle battaglie degli anni Settanta - «violenza sulle donne», eccetera –, io posso affrontare, in tutta la sua realtà, questo evento indimenticabile.

E questo conta. Che ognuna decida e che, con il suo dolore – questo c’è e non può essere giudicato – resti lei a scegliere cosa sia giusto e cosa no.
Perché, in fondo, in qualsiasi posto ci si trovi, sul proprio corpo non dovrebbero esserci leggi a sé stanti, ma diritti ovunque imprescindibili.

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