In Slam Dunk ho disegnato il basket, con in mezzo un po’ di vita
Si chiama manga spokon quel genere che ha per protagonista lo sport e gli atleti. E se qualcuno di voi sta già alzando gli occhi perché le storie sportive sono noiose se non per gli addetti ai lavori – siamo già stati smentiti da Open, ma se volete altro, eccovi serviti – questa serie di 31 volumi, 101 anime e 4 film vi farà ricredere una volta per tutte. Slam Dunk, il manga di Takehiko Inoue, racconta del basket, di Hanamichi Sakuragi, che con la sua chioma rosso fuoco passa dall’essere un teppista a un atleta, e della squadra Shohoku.
Una storia che parla di un grande amore, quello per il basket e di tutti i sacrifici per inseguire i propri sogni. Riuscirà Hanamichi a essere più fortunato? La recensione di Valentina Lotti, alias La scimmia blu
E il successo planetario della serie non è mai stato scontato, anzi, casomai il contrario. Inoue, del resto, era uno dei pochi, in Giappone, ad amare così profondamente la pallacanestro – lui seguiva i Los Angeles Lakers e lo praticava a scuola, i campi dove allenarsi, nel suo Paese, non sono così diffusi. Quindi, pubblicare una storia che trattasse di uno sport non proprio nelle corde dei suoi connazionali fu un bell’azzardo, e gli editor non mancavano di farglielo notare.
Ma Inoue, oltre che talentuoso disegnatore, è un grande narratore, e dunque propose un escamotage per attirare i lettori senza imbottire troppo le sue storie del suo amato basket. Riempiva, infatti, i primi numeri non di sport, ma di vita adolescenziale: storie d’amore, risse, uscite tra amici. La pallacanestro restava sullo sfondo, gli allenamenti diventavano un pretesto di contorno, ma, nel mentre, Inoue inseriva regole, nozioni, anticipazioni nell’attesa dell’evento al centro della sua creazione: il torneo delle scuole.
Questo arrivo lento si rivela una scelta vincente e il successo del manga esplode prima in patria e poi nel mondo. E forse non era facile ripescare la storia dello Shohoku dopo trent’anni dalla chiusura del fumetto, ma con la regia del magaka stesso, The first Slam Dunk si è già confermato per il capolavoro che i fan aspettavano. Il film, il quarto nell’universo Slam Dunk, mette in scena la partita più importante, quella tra lo Shohoku e il Sannoh, la prima del liceo, la seconda una delle più forti del Giappone. A raccontare è Ryota Miyagi, il playmaker della squadra.
E, come accaduto per il manga, anche qui si intersecano storie d’amicizia, d’amore e di vita attraverso un’animazione che unisce quella tradizionale al CGI, in un risultato visivamente perfetto, fluido e d’impatto. La maggior parte del tempo la passiamo sul campo, guardando i protagonisti – ci sono tutti quelli del manga, niente paura – sfidarsi tra loro come guerrieri, agguerriti e leali, e qui il basket non è un contorno: Inoue l’ha voluto, finalmente, rendere il protagonista che desiderava da sempre.
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