Come starebbe Regione Lombardia se cancellassimo di colpo gli ultimi trent’anni?
È questa la domanda a cui Michele Sasso in Assalto alla Lombardia, edito Laterza, vorrebbe rispondere.
Ma non può.
Si limita allora a quello che può fare: scandagliare euro dopo euro, bilancio dopo bilancio, sentenza dopo sentenza ventotto anni di ininterrotto centrodestra alla guida della macchina lombarda, anzi lumbard, come direbbe lui.
Dal 1995 a oggi il ciellino Roberto Formigoni prima e i leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontana poi hanno governato in Lombardia attuando misure scellerate in tema di sanità, mobilità e cura del territorio. Scelte inadeguate di fronte all'impatto delle crisi globali, delle sfide del cambiamento ambientale e - soprattutto - della pandemia da Covid-19,
Il suo è un esame pernicioso, quasi ossessivo: Sasso vuole mettersi davanti a una cartina geografica che parte dalle montagne della Valtellina e scende fino alle acque del Po, eppure il carteggio che riesce a tracciare, chissà come, è un unico filo rosso che si annoda ben stretto tra i 32 piani del Pirellone e i 43 di Palazzo Lombardia, a soli 700 metri di distanza l’uno dall’altro.
Due spolette di vetro e acciaio dove si giocano le sorti di un sistema che dagli anni Novanta ha iniziato lentamente a incrinarsi sugli stessi nodi, a rotazione, giro dopo giro.
Nel 1997, racconta Sasso, è Formigoni (detto il Celeste) ad aprire le danze con la rivoluzione della legge 31, il via libera definitivo alla privatizzazione di 104 ospedali su 238 totali, un bilancio che nonostante tocchi il 40%, per qualche motivo, non si accompagna a un altrettanto alta posizione nel ranking dei LEA:
[…] secondo la Direzione generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute, la Lombardia, dal 2012 in poi, riporta un punteggio che la colloca regolarmente al quarto posto, dietro ad Emilia-Romagna, Toscana e Veneto.
Si parla di milioni, di miliardi, una circolarità che aumenta in proporzione e che si mostra in tutta la sua fragilità con la pandemia da Covid-19, che mette definitivamente in ginocchio ogni tentativo di nascondersi dietro una facciata perfetta.
[…] Non è stato uno tsunami arrivato all’improvviso, come ha cercato di raccontare l’ex assessore alla Sanità Giulio Gallera, ma l’effetto perverso di una Privatocrazia.
Non mancano di certo nomi e cognomi, tra "gli amici di", "i figli di" o "i tentativi di", con le storie di chi ha provato, o ancora ci spera, di mettere un fermo in un ingranaggio che stenta a rallentare.
In nome di un ideale che sarebbe anche un diritto: «una sanità pubblica eccellente è quella che non costringe il cittadino a rivolgersi a servizi a pagamento», semplicemente.
Ma gli ideali hanno spesso strascichi che durano decenni, come quelli che hanno portato all’85% di consultori privati di sola ispirazione cristiana, a case di comunità fantasma o al 35% di possibilità di utilizzo della pillola abortiva Ru486 in ospedali che spesso e volentieri sono accessoriati con un percorso di assistenza alle donne ad esclusiva dei Cav, Centri di aiuto alla vita.
E quasi pare di essere tornati ai racconti a bassa voce di donne di più di cinquant’anni fa:
[…] percentuale di aborti effettuati fuori dalle strutture pubbliche, e quindi in condizioni di non sicurezza, che si assesta intorno al 15% del totale.
Sasso parla poi di investimenti che girano attorno alla legge 194 per poi finire in bond, gare d’appalto su misura, ville in Sardegna, finanziamenti ai partiti e assunzioni lampo in Regione con curriculum che iniziano e finiscono, spesso e volentieri, nelle stesse mansioni.
Il tutto a scapito dei bisogni fondamentali di più di dieci milioni di cittadini, continua Sasso, che partono dalla sanità e arrivano fino al diritto allo studio:
Fondi messi a disposizione in nome della possibilità di scegliere: la libertà educativa è in mano ai genitori, i quali se vogliono iscrivere i propri figli nelle scuole cattoliche ricevono sostegno dal Pirellone, che sborsa una parte delle rette.
Ma anche al diritto al lavoro:
L’inghippo era che non dava la Dote alle persone bisognose ma direttamente ad agenzie per il lavoro che selezionavano per corsi su misura profili di ingegneri o persone qualificate da inserire nel mondo del lavoro, quando un impiego per questi profili era facile da trovare.
E ancora: Sasso prosegue e parla del diritto (leso) all’edilizia popolare e convenzionata fino a quello legato ai trasporti, con una Trenord senza più avversari a far mostra di nuovi treni e nuovi binari.
Fino poi alla necessità di respirare aria pulita e terra sotto i piedi, in costante lotta con l’opposizione a sinistra del Comune di Milano, da Pisapia a Beppe Sala, prontamente contestata dalla Lega regionale:
«Un milione di lavoratori e lavoratrici in Lombardia rischia di rimanere a piedi a causa della scelta insensata del Comune di Milano, della sinistra e del sindaco Beppe Sala. […] Così non si difende l’ambiente, si massacrano i lavoratori.»
Un libro-inchiesta, quello di Michele Sasso, che non risparmia i dettagli e anzi, li mette bene in mostra in vista delle sempre più prossime elezioni in Regione Lombardia.
Una speranza, quella del giornalista per Linkiesta, L’Espresso e infine La Stampa, che possa essere ascoltata, fosse anche per sfinimento, da chi per trent’anni ha avuto fiducia in un sistema monocromatico.
E che allo stesso modo incrocia le dita che non finisca letta esclusivamente da chi, invece, questi ragionamenti li ha cercati con la stessa foga in trent’anni di giornalismo.
Chissà che ci si arrivi prima o poi, sarebbe allora da domandarsi, a questo tanto atteso Assalto alla Lombardia.
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