Scelti per voi

Baumgartner di Paul Auster

Mi manca, tutto qui. Era l'unica persona al mondo che io abbia mai amato, e ora devo trovare un modo per continuare a vivere senza di lei.

La memoria e la mancanza hanno una cosa in comune – ne hanno molte, in verità – la più fastidiosa di tutte è, per me, la fallacità. Avete presente quel momento in cui cercate di recuperare un ricordo e lo inseguite in un testa a testa impari, e lui vola più veloce, e voi correte. Ma lui vola. E avete perso. È andato via, lontano e non sapete se riuscirete mai più a riprenderlo. Ecco. Quel frangente di impotenza ha a che fare con la fallacità della memoria, con la fallacità della mancanza.

E Baumgartner, ultima fatica di Paul Auster, non fa che – sornionamente e dolorosamente – ricordarcelo.

Professore e scrittore di testi di filosofia, Baumgartner, sembra un uomo qualsiasi, passa le sue giornate serenamente, ordina libri che donerà alla biblioteca comunale solo per scambiare due chiacchiere con Molly, fattorina dell’Ups, ma soprattutto Baumgartner si ferma e ricorda.

Ha perso sua moglie dieci anni prima, per colpa di un’onda anomala. Anna che amava il mare, Anna con il fisico da nuotatrice che sembrava essere stato scolpito per fondersi con l’acqua salata, Anna che aspetta l’ultimo tuffo, ancora e ancora, perché non basta mai il desiderio di sentirsi libera. E così succede che c’è una conoscenza che Baumgartner fa di sé, senza e con Anna, un prima e dopo in cui è come se gli assi temporali di una vita si estendessero nei prolungamenti che dà l’amore, che toglie.

Se non fosse tornata in acqua sarebbe ancora viva, ma non saremmo stati insieme per più di trent'anni se per esempio avessi provato a impedirle di entrare in acqua quando voleva.

E se l’amore per sua moglie, la mancanza, permeano tutto il libro, Auster torna a compiere una delle sue prodezze più rare, qualcosa che ha a che fare con l’umanità e con la necessità di recuperarla.

Innanzitutto, Baumgartner è un personaggio a cui ci si affeziona sin da subito, perché ha una capacità di meravigliarsi, di essere grato per la gentilezza e questa semina dimentica per gli uomini è uno dei germogli più riusciti di queste pagine. Non c’è stucchevolezza, non c’è pianto di miseria, non c’è compassione ossequiosa ma inscalfibile tenerezza. Lo sguardo di questo professore non risulta goffo, né compiuto, piuttosto è attento, ha imparato da quello che la vita gli ha donato, a prescindere da tutto, e non se la sente proprio di non essere riconoscente. E, in un’epoca così difficile, la gratitudine sembra quasi una forma di rivoluzione.

Dubbi, sì, momenti di disperazione, sì, ma esiste forse uno scrittore o un artista che non vive in quel territorio instabile tra fiducia e disprezzo di sé?

E così, è un alternarsi dolcemente profano, quello del dolore con la gratitudine. Uno dei rimandi che ho letto più spesso in questi giorni è che Auster ha dichiarato che potrebbe essere il suo ultimo romanzo, una sorta di lascito testamentario. Chissà, qualsiasi sia la spinta dietro queste pagine, tutto mi sembrano fuorché un'esorcizzazione della morte, anche se, si sa, gli scrittori sono fra i più grandi codardi, ma anche fra i più grandi menzogneri. 

Ma se così fosse, c'è questo momento in cui Baumgartner sente ancora i tasti di Anna che ticchettano per casa, che lo riportano a lei, mentre lui continua a provare a vivere, senza remore, ma con la presenza cucita addosso, cercandosi fra le parole di lei che sono rimaste, che lei ha scritto negli anni. Ché la memoria può tradire, ma la scrittura no, forse questo è ciò che conta, ciò che resta.

E anche la mia memoria scorretta mi riporta a quando ho letto per la prima volta Paul Asuter, è stato con Diario d'inverno, che rimane tuttora uno dei miei libri preferiti. Ricordo la fatica, il freddo, la necessità di chiudere e respirare un po', perché ci sono parole che sanno trovarti meglio di altre, che sanno perfettamente dove scavare e, per fortuna, – anche Baumgartner lo sa bene – rievocano la memoria di cui non sapevi di avere bisogno. Ti fermi, non corri più dietro a un ricordo lontano, ne arriva un altro e, non si sa come, ti salva.

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Conosci l'autore

Paul Auster è stato uno scrittore, sceneggiatore e regista statunitense. Nato da genitori ebrei originari dell’Europa orientale (il nonno paterno era emigrato nel 1901 dalla città ucraina Ivano-Frankivsk), dopo aver studiato alla Columbia University, nel 1970 si era spostato a Parigi dove aveva lavorato come traduttore fino al ritorno a New York nel 1974. L'esordio come scrittore era avvenuto - dopo diversi insuccessi e il divorzio dalla prima moglie, la scrittrice Lydia Davis - con poesie, racconti e articoli pubblicati sulla “New York Review of Books” e sulla “Harper’s Saturday Review”. La sua opera più famosa, subito accolta favorevolmente dalla critica, è la Trilogia di New York (composta dai romanzi Città di vetro, 1985; Spettri, 1986; La stanza chiusa, 1987), che volge in parodia il genere della detective story. Seguirono i romanzi Il paese delle ultime cose (1988), Il palazzo della luna (1989), La musica del caso (1991, dal quale Philip Haas trasse un film nel 1993), Leviatano (1992), Mr. Vertigo (1994) e Timbuctù (1998). Raccolte di racconti sono Il taccuino rosso (1995) ed Esperimento di verità (2001). Auster ha firmato con Wayne Wang la regia di Smoke (1995) e di Blue in the Face (1995), dei quali aveva scritto anche la sceneggiatura; nel 1998 ha diretto Lulu on the Bridge, interpretato da Willem Dafoe e Harvey Keitel, dove appare la figlia Sophie. Ricordiamo poi Viaggi nello scriptorium e Uomo nel buio (2008), La vita interiore di Martin Frost, Invisibile (2009), Sunset Park (2010), Diario d'inverno (2012), Notizie dall'interno (2013), Follie di Brooklyn (2014), 4321 (2017), Una vita in parole (2019), 4 3 2 1 (2019) e Baumgartner (2023). In Italia le sue opere sono pubblicate da Einaudi.Nel 2024 esce postumo, Una nazione bagnata di sangue.Paul Auster è morto nel 2024 dopo una lunga malattia e faticose terapie per il cancro. «Vivere con qualcuno che ha il cancro e viene bombardato con la chemioterapia e l’immunoterapia è un’avventura di vicinanza e separazione» aveva scritto la moglie Siri Hustvedt - scrittrice e studiosa di psicoanalisi, con la quale viveva a Brooklyn dal 1981 -, su Instagram annunciando ai lettori e al mondo la malattia del marito.

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