Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, in Never Quiet. La mia storia (autorizzata malvolentieri) (Rizzoli, 2021) ci racconta la sua lunga attività imprenditoriale , tra successi e fallimenti, incontri fortunati e sentieri imboccati erroneamente, visioni e rischi legati a un'idea di impresa. La cosa più importante nella vita di Farinetti? Dare sempre ascolto alla “scimmietta inquieta” che poggia sulla sua spalla e che da tutta la vita lo stimola a imbarcarsi in nuove avventure.
In fondo al libro troviamo una ricca bibliografia che Farinetti ha voluto rubricare sotto la dicitura “Ringraziamenti a persone e opere”.
La prima figura a essere citata è Gabriel García Márquez, perché
Cent’anni di solitudine è il libro che più mi è stato vicino nella scrittura del mio, di libro. Primo perché anche io, umilmente, ho la tecnica di partire da un’immagine, da un disegno, prima di infilarci dentro la trama. Secondo, perché ho cercato di ricostruire l’atmosfera di magico realismo che c’è in Macondo, che è un po’ l’atmosfera che mi accompagna da tutta la vita
Cent’anni di solitudine, pubblicato dalla Editorial Sudamericana di Buenos Aires nel 1967, uscì in Italia nel 1968 per Feltrinelli, mentre attualmente lo possiamo trovare nel catalogo Mondadori, negli Oscar Moderni e negli Oscar cult. Fu un immediato successo, ben oltre i confini dell’America Latina, inaugurando la popolarità di un nuovo genere letterario - il realismo magico - e segnando l’inizio di una nuova attenzione alla letteratura sudamericana.
Da José Arcadio ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent'anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile.
L’autore, Gabriel García Márquez, detto Gabo, non ha bisogno di molte presentazioni: nato ad Aracataca nel 1927, premio Nobel per la letteratura nel 1982, per quindici anni si dedicò alla stesura di quello che oggi è uno dei classici più conosciuti e letti. Nel 2007, al IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola, Cent’anni di solitudine venne votata come seconda opera spagnola più importante di sempre, preceduta solo dal Don Chisciotte di Cervantes.
La trasposizione televisiva
I diritti di "Cent’anni di solitudine" sono stati acquistati da Netflix, che ne farà una serie tv in lingua originale - così avrebbe voluto Márquez per eventuali trasposizioni cinematografiche – e i produttori esecutivi saranno i due figli dell’autore, Rodrigo e Gonzalo.
Molti anni dopo, davanti al plotone d’esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre l’aveva portato a conoscere il ghiaccio
L’incipit è fuor di dubbio tra i più famosi della storia, attrae il lettore e lo trascina nella magica atmosfera di Macondo, “un paese felice, dove nessuno era più vecchio di trent’anni e dove non era mai morto nessuno”. Macondo è isolato dal resto del mondo - come isolati e soli sono i suoi abitanti - ed è un villaggio di fantasia caratterizzato da una commistione di realtà e finzione: i confini tra vero e fittizio, morte e vita, presente e sogno sono labili. Le guerre d’indipendenza che l’attraversano e il conflitto tra le innovazioni portate dagli esterni (come lo zingaro Melquíades) e la tradizione alla quale gli abitanti sono ancorati rendono Macondo anche allegoria dell’America Latina dopo la colonizzazione spagnola.
Seguiamo, a partire dai capostipiti José Arcadio Buendía e Úrsula Iguarán, le caotiche vicende di sette generazioni di Buendía, e veniamo investiti dal senso di sconfitta e solitudine che domina la narrazione. Ognuno dei Buendía è condannato a un destino inquieto, a un fare e disfare senza risoluzione, alla ricerca di un riscatto che non arriverà. Permane il senso di incomprensione reciproca, l’ineluttabilità dell’esistenza, la solitudine di ciascuno.
Tutti gli esponenti della famiglia Buendía recano in sé tratti dei loro predecessori, nei nomi (José, Arcadio, Aureliano, Amaranta..) e nelle azioni destinate a replicarsi: la storia, in Cent’anni di solitudine, non prevede progresso futuro. Tutto ha andamento circolare, è un continuo reiterarsi di avvenimenti che non conducono mai ad uno stadio successivo, ma solo al fallimento.
Erano le ultime cose che rimanevano di un passato il cui annichilimento non si consumava, perché continuava ad annichilirsi indefinitamente, consumandosi dentro sé stesso, terminandosi in ogni minuto ma senza terminare di terminarsi mai
L’atmosfera onirica ed esoterica è resa dalla commistione tra magico e reale, tra passato, presente e futuro, tra morte e vita. I personaggi e le vicende assumono tratti iperbolici, come l’incredibile longevità di Úrsula, le doti sessuali di José Arcadio, i dieci giorni senza sole o i quattro anni di pioggia a Macondo.
Non è un caso se è stata proprio la componente del realismo magico a colpire l'immaginazione della scrittrice Amity Gaige, che come Oscar Farinetti è particolarmente legata a questo libro:
Fino a quel momento non sapevo che si potesse scrivere di un mondo diverso da quello reale, un mondo che fosse simile al nostro ma magico
Lo stile narrativo di Marquez è prodigioso, fonde reale e immaginario, con linguaggio piano riesce a costruire trame intrecciate, incanta con toni fiabeschi e struttura un’opera che si presta a più livelli di lettura.
Macondo e i suoi abitanti diventano l’emblema dell’esistenza umana: una moltitudine di esseri viventi che tentano di vivere insieme, avere rapporti sociali, sentirsi riconosciuti da gli altri, che si affannano, sperimentano, rincorrono obiettivi. Tutto ciò è essenziale per sopravvivere, ma non è sufficiente: ciascuno è intimamente sempre solo con sé stesso e destinato a soccombere. Così, per la famiglia Buendía tutto muta e tutto resta uguale, permeato dalla solitudine.
Quella volta che con Vargas Llosa finì a cazzotti
Gabriel García Márquez fu amico di Mario Vargas Llosa, altro autore di spicco della letteratura sudamericana (premio Nobel per la letteratura nel 2010). Vargas Llosa pubblicò uno studio su Cent’anni di solitudine, García Márquez: historia de un deicidio, tratto dalla sua tesi di dottorato.
I due si conobbero nel 1967, presso l'Universidad Nacional de Ingeniería peruviana. Márquez aveva da poco pubblicato Cent’anni di solitudine e Vargas Llosa aveva appena vinto il premio Rómulo Gallegos per La casa verde. In quest’occasione intrattennero un dialogo sull’essenza del romanzo, che possiamo trovare oggi in Due solitudini, (Mondadori).
Il rapporto di amicizia tra i due finì con un eclatante gesto pubblico: il pugno che Vargas Llosa sferrò a Márquez al palazzo delle Belle Arti di Città del Messico, nel 1976, in occasione della proiezione di un film a cui Vargas Llosa aveva partecipato. La motivazione? Sembrò essere personale, pare c’entrasse la moglie di Mario, Patricia, ma i due non hanno mai svelato nulla, concordi nel “lasciare il mistero ai biografi”.
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