Sciolokov! Chi era costui? La citazione manzoniana rende alla perfezione lo smarrimento della nostra redazione di fronte a un suggerimento inaspettato e al nome dell’autore dell’opera. Un’opera che sembra essere scomparsa dall’orizzonte a causa di un fraintendimento ideologico, per cui nel tempo sarebbe stata ritenuta troppo “sovietica”.
“Da sempre ho un libro cult nel cuore, anzi una saga di quattro volumi: Il placido Don, di Michail Sciolokov.”
Massimo Carlotto – che ci ha fatto dono di tanto smarrimento mettendoci, però, in condizioni di imparare qualcosa di nuovo e prezioso - inizia a raccontare, così, il suo libro cult, quel libro immancabile tra gli scaffali della nostra libreria che almeno una volta nella vita va letto, anzi vanno letti. Il ciclo del Placido Don, infatti, si compone di quattro romanzi: Il placido Don (1928), La guerra continua (1929), I Rossi e i Bianchi (1933) e Il colore della pace (1940).
Il placido Don, primo dei volumi, è un romanzo sui cosacchi autentici e ne descrive la travagliata e drammatica vicenda storica nel corso della Rivoluzione russa in un corposo e denso affresco di personaggi, tra cui spicca Grigorij Melekov, cosacco del Don e ufficiale dell’esercito zarista. Al centro del racconto troviamo la tradizione, il pensiero, i costumi e le usanze cosacche, vivida testimonianza del grande amore che Michail Sciolokov nutre per la realtà di cui si sente parte.
Eppure, Michail Sciolokov non è soltanto l’autore di un libro cult ma è lui stesso un autore cult: vincitore del premio Stalin nel 1941, del premio Lenin nel 1960 e, soprattutto, nel 1965 del premio Nobel per la letteratura. E come per ogni scrittore cult che si rispetti, anche la vittoria di Sciolokov trascinò con sé una serie di polemiche e critiche pretestuose. Il Nobel fu interpretato, con livore anticomunista, come una rivincita dell’Unione Sovietica, precedentemente disillusa dalla vittoria di uno sconosciuto Pasternak nel 1965 su pressione della CIA e dell’intelligence britannica.
E anche la storia editoriale del Placido Don possiamo definirla cult: sin dalla pubblicazione dei primi due volumi corse voce, viste le posizioni organiche al PCUS di Sciolokov e la sua giovane età, che non potesse essere lui il vero autore di un lavoro letterario così audace e di pregevole livello stilistico.
Fu addirittura nominata una commissione d’inchiesta che esaminasse e stabilisse la paternità dell’opera e in Occidente comparvero dei saggi che sollevarono ulteriori sospetti di plagio. Tuttavia, il lavoro della commissione riuscì a dimostrare che si trattava di una calunnia di natura politica a scapito dell’autore e la fondatezza del lavoro di Sciolokov fu riconosciuta da critici e storici della letteratura.
Non solo controlli e indagini sui manoscritti: l’opera fu sottoposta a numerosi tagli e rimaneggiamenti a causa della censura sovietica e del determinante intervento di Stalin. Per decenni le edizioni del Placido Don furono stampate e pubblicate o in versioni mutile o in ritardo al fine di rispondere alle esigenze del regime.
Tra i principali modelli su cui è costruito il romanzo del realismo socialista, Il placido Don non è un capolavoro circoscritto alla letteratura russa ma un capolavoro a livello europeo e mondiale. Ha ispirato scrittori, coinvolto specialisti e pubblico per la sua novità e importanza storico-letteraria e nel 1941 ne fu pubblicato anche in Italia il primo volume in contemporanea da Bompiani e da Garzanti.
Massimo Carlotto ci ha spronato a compiere uno straordinario viaggio in una precisa fase storica del popolo russo. “Sono entrato in un mondo fantastico, quello dei paesi abitati dai cosacchi che si affacciavano sul Don durante la rivoluzione bolscevica, un mondo che non conoscevo.”
E solo un grande autore come Sciolokov poteva creare figure interessanti, pittoresche, eroiche e umanamente sofferenti e restituire un romanzo di rara potenza artistica.
Il placido Don è un libro cult immenso, così come la sconfinata pianura russa in cui è ambientato, terra appassionata e violenta. E se a Carlotto non è spuntata una lacrimuccia nel magnificare in nostro favore le tante, indubbie qualità di quel libro che ha segnato la sua storia di lettore, è forse perché il nostro sa bene come alle lacrime di un alligatore non sia il caso di credere. Mai.
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