Quando è apparsa su Netflix per la prima volta, il 1° dicembre 2017, molti la credevano la copia tedesca – e scadente – di Stranger Things: la verità è che le due serie non hanno niente a che fare, se una è commerciale e accessibile a tutti l’altra è un intricatissimo filo, un cavetto delle cuffie che è stato in tasca troppo a lungo ed è diventato impossibile da sbrogliare. Solo il punto di partenza è in comune: un ragazzino sparito nel nulla.
La scomparsa del piccolo Mikkel è la chiave che i due sadici sceneggiatori hanno dato allo spettatore per aprire il mondo – o meglio i mondi – di Dark, fatti di riferimenti biblici, filosofici e scientifici, richiami alla cultura pop – come Ritorno al Futuro – e cenni storici. Dico sadici perché chiunque voglia provare a capirci qualcosa è destinato ad impazzire, di puntata in puntata, fino ad arrivare alla ventiseiesima e ultima in cui, forse, se si è prestata abbastanza attenzione e si è tenuta sott’occhio la mappa dei personaggi, se ne verrà a capo. Ed è proprio questo il bello.
Non è una serie da guardare mentre si stira una camicia o sonnecchiando sul divano, bisognerebbe seguirla con una lente di ingrandimento puntata sullo schermo per notare i dettagli infinitesimali che la rendono speciale – vedi la Rotring 2000 prodotta negli anni Ottanta con cui la piccola Charlotte, nel 1986, disegna uccelli morti sul suo quadernino.
Nonostante la miriade di personaggi, il protagonista indiscusso e crudele è il tempo, che non scorre su una linea dritta con un inizio e una fine, ma si ripete in un cerchio infinito molto simile a quello di cui parlava Nietzsche. I personaggi fanno avanti e indietro come yo-yo ma, a differenza di Marty McFly, non hanno il potere di cambiare niente di quello che gli succede perché tutto è già stabilito e al destino non c’è scampo.
Lo scorrere del tempo è evidente sullo schermo grazie a scenografia, luci, trucco e parrucco. Inoltre, la sceneggiatura di tutte e tre le stagioni – un raffinatissimo intreccio – è stata scritta insieme, permettendo così di evitare buchi di trama o incoerenze.
Dark è esigente non solo con chi la guarda, ma con tutti quelli che hanno lavorato per darle vita, compresi gli attori – scelti perfettamente – che, nelle ultime stagioni, hanno dovuto imparare anche ad essere mancini o destrorsi.
Anche se può sembrare, per capirla non servono tre lauree – in filosofia, teologia e fisica – perché si premura di spiegare più volte tutte le teorie su cui si basa. E, per quelli che se lo stanno chiedendo: si, c’è anche una love story.
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