Etienne Cleirac (1583-1657), autore di Us et coustumes de la mer, un trattato di diritto marittimo di grandissimo successo pubblicato a Bordeaux nel 1647, offre a Francesca Trivellato lo specchio di un passaggio cruciale nella percezione della minoranza ebraica d’Europa e dei danni immensi che ne seguirono. Quei danni rimangono sostanzialmente intatti nella mentalità collettiva a secoli di distanza, dentro il nostro oggi. Oggi, per esempio, la propaganda di Viktor Orban e del suo partito che governa l’Ungheria si nutre a piene mani di questo mito. Lo stesso vale per la cultura politica dei suoi amici all’interno della UE, guardando a est ma anche a ovest. Italia inclusa.
Una "leggenda nera", ormai dimenticata, vuole che siano stati gli ebrei medievali cacciati dal re di Francia a inventare le lettere di cambio, lo strumento fondante del capitalismo finanziario. Dove nasce questo mito e perché ha avuto tanta diffusione fino a diventare senso comune?
Di cosa stiamo parlando? Della costruzione dell’accusa di usura e poi delle pratiche economiche legate alle transazioni di denaro attraverso le lettere di cambio, uno strumento finanziario ed economico collocato dalla convinzione popolare nel XVI secolo e che la propaganda - in buona parte diffusa dalla Chiesa - riversa sulla minoranza ebraica.
Percorso che produce l’identificazione di una pratica considerata disumana con l’essenza di un gruppo umano. Raffigurazione condizione e giudizio che rendono legittimi e giustificati nel tempo, prima le restrizioni, poi le persecuzioni, infine poi gli stermini. Comunque tratto da cui è impossibile evolvere se non rinnegando se stessi.
Di quell’accusa Trivellato ricostruisce attentamente il contesto, la lingua, la mentalità, le procedure.
Soprattutto sottolinea come la pratica finanziaria indicata come «il male» e come contaminazione del loro «sano agire economico» riguardasse molti attori culturali politici ed economici in gran parte dentro il mondo stesso della Chiesa, per i quali quest’ultima prevede e codifica pratiche di perdono e salvezza, o comunque di «convalescenza» dal peccato (dal quale, peraltro, non si chiedeva di desistere).
Ma ricorda anche come quella pratica, che tra XVI e XVII secolo torna nel discorso pubblico come nemico da aggredire e estirpare non fosse che la continuazione di una cosa già praticata nel basso medioevo (su cui Jacques Le Goff sia nel suo Lo sterco del diavolo, sia in La borsa e la vita aveva aperto un cantiere di lavoro interessante) tanto nelle forme persecutorie quanto nelle doppiezze, nel trovare un capro espiatorio su cui scaricare responsabilità e le ansie del «proprio popolo».
Allora, come ora.
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