Si vive e si muore in fretta oggi: manca il tempo di ricordare
Parlare di Benito Mussolini non è mai facile, e chi scrive, qui, ha avuto parecchi dubbi su come farlo. Non è facile soprattutto quando per le mani ci si trova un materiale ricolmo di vita e di umanità come il libro curato da Mimmo Franzinelli per Laterza Mussolini racconta Mussolini: una raccolta di documenti, perlopiù autografi, che il dittatore ha scritto per raccontare diversi periodi della propria vita. Sono lettere, trascrizioni di telefonate, di discorsi pubblici, diari che vanno a comporre una personalità sfaccettata, complessa, umana, che trascina verso terra quel simbolo assurdo e crudele che è, nella nostra storia, Mussolini.
Esistono molte biografie di Benito Mussolini ma mai nessuno aveva pensato di lasciare la parola al duce stesso, al racconto che della sua vita troviamo in pagine autobiografiche, tra cui molte inedite o dimenticate. Scopriamo così cosa pensava Mussolini della propria vita e come la raccontava
Si badi bene: una volta letto questo libro non si dirà «ah! Ma anche i mostri, allora, hanno un’umanità», né si arriverà a empatizzare con Mussolini. Non è questo l’obiettivo documentario e storiografico di Franzinelli, che invece vuol dimostrare esattamente l’opposto. Il mito, sembra dirci, non esiste. Alla fine del racconto, se si scava abbastanza a fondo, c’è sempre e solo un essere umano, più o meno in grado di raccontarsi e di creare intorno a sé un’aura mistica e simbolica.
A rendere preziose queste testimonianze – al di là del valore, lo ribadisco, storiografico – è la loro capacità di prendere un simbolo e riportarlo al suo stadio originale. Da un lato della barricata, Mussolini è l’idolo, dall’altro il nemico. In questo libro è solo un essere umano, che ha spesso paura, si contraddice ogni due per tre, vuole pavoneggiarsi con la propria amante e far la figura dell’impavido con i suoi amici.
Il libro si divide in otto parti che raccolgono pagine e scritti diversi, da un diario personale dell’infanzia, alle lettere scritte e Clara Petacci – grafomane, tenne e trascrisse ogni cosa riguardasse il suo innamorato –, alle riflessioni durante la prigionia alla Maddalena. Seguendole nell’ordine cronologico scelto da Franzinelli si ricostruisce una vita, dall’infanzia alla fine, fino a quel tentativo, disperato e commovente, di tenersi stretta ancora una parvenza di dignità mentre era prigioniero dei suoi stessi alleati. Ogni parte, altresì, merita un’analisi dello stile, che si evolve con il mutare delle situazioni: pomposo e dannunziano in giovinezza, più asciutto durante la guerra, oratorio negli anni della politica.
Nel nostro Stato la libertà all’individuo non manca. Oggi, l’italiano la possiede più che un cittadino qualunque, isolato dagli altri; poiché lo Stato lo protegge, egli è una parte dello Stato
Nel concreto, per entrare almeno un po’ addentro le pagine, la personalità che emerge di Benito Mussolini, fin dai racconti giovanili, è «di un personaggio borderline, portato per indole a soluzioni estreme», senza preoccupazioni delle conseguenze. Senza, soprattutto, un apparente filo razionale che leghi le diverse posizioni le une alle altre. Un esempio su tutti – che resta, a mio avviso, un angolo cieco nella ricostruzione di Mussolini – è la rivoluzione nell’atteggiamento verso la guerra. Negli anni della giovinezza, Mussolini la rifiuta con forza, anche con posizioni ideologiche sensate e ragionate, mentre al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale, con un repentino assestamento, ne diventa il più strenuo sostenitore.
Si tenga presente che Mussolini non partecipò mai ad alcuna azione bellica – nemmeno alla marcia su Roma. E qui emerge un altro tratto della personalità mussoliniana, ovvero una tendenza smodata all’autorappresentazione: Benito Mussolini ha bisogno di raccontarsi per come vuole essere, e non per com’è. Solo nelle lettere a Clara si lascia andare, ma con la raccomandazione di distruggerle per non farle cadere nelle mani sbagliate (affascinante la storia che troverete in nota delle carte private di Petacci, nascoste per molto tempo dagli eredi). Con una simile inclinazione, tutto si deformava e piegava alla volontà dell’unico uomo, in Italia quantomeno, che aveva la piena libertà di imporre sulla realtà che lo circondava i propri desideri.
Ci muoio, Clara: tutto si infrange, si frantuma tra le mie mani… Tutto è stato inutile
Sul finale, si rischia di commuoversi, o, perlomeno, per me è stato così. Non per la caduta del mostro, naturalmente, ma per la sua tardiva presa di coscienza. Anche qui, in un moto repentino, Benito Mussolini capisce l’enormità dei propri errori. Dubito se ne sia pentito, ma certamente ha avuto la sua epifania. E questa rivelazione fa pensare alle vite distrutte, al dramma politico e sociale di uno Stato, all’olio di ricino e ai manganelli, alle leggi razziali, all’alleanza con la Germania, agli antifascisti massacrati – e poi ai fascisti impuniti e ai neofascisti impunibili, all’ombra lunga che Mussolini ha lasciato fino a noi, e a un sacco di altre cose. E ci si commuove, perché, infine, quel male è stato inutile, ma lo si è capito davvero troppo tardi.
Quest’uomo cos’è?
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