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Grande nave che affonda di Andrea Cappuccini

Quando ripensava a quelle cose, lì per lì gli veniva da sorriderne sempre ma poi sentiva come se fossero cose vecchie, passate come lo erano tutti quei racconti che ogni volta si facevano nelle cene dai Romano, e allora gli prendeva una fitta come un pugno ben fatto allo stomaco

Come in ogni racconto epico, perché di un racconto epico si tratta, Grande nave che affonda (Blu Atlantide) inizia in medias res: già ai domiciliari per un crimine non ben precisato, Taddeo Romano viene portato al carcere di Rebibbia. Quello che resta, a chi resta, è un vuoto, un’attesa. E allora, proprio quando tutto pare come sospeso e immobile, il tempo e le coscienze iniziano a ripiegare su sé stesse: i pensieri, le percezioni, i gesti scivolano in una dimensione sfocata; come se con l’uscita di scena di Taddeo il groviglio di atti mancati e di insoddisfazioni, l’inerzia e il dolore di certe vite lasciate a metà, fosse chiamato a sciogliersi.

Grande nave che affonda
Grande nave che affonda Di Andrea Cappuccini;

Quando il ventenne Taddeo Romano viene arrestato e portato al carcere di Rebibbia, la famiglia trova i modi più personali e disparati di fare i conti con la sua assenza.

Entrano in gioco ricordi, fantasmi, zone scure. Nella grande torre di Babele che è la casa dei Romano, a Torricella, periferia di una Roma che si scioglie d’estate e viene sommersa dalla nebbia d’inverno, va in scena «una strana festa diffusa e disperata»: Viviana e Camillo, i genitori di Taddeo, devono vedersela con la loro mezza età ferita; Settimo e Patrizia, genitori di Viviana, vengono strattonati tra i ritmi e i riti della vecchia Torricella e ciò che di nuovo sta inesorabilmente arrivando; Aurora, la sorella minore di Taddeo, agisce invece nella chiusura e smette presto di cercare un senso nello stomaco di un tempo opaco che le impedisce di vedersi padrona del proprio destino.

Sentì che era ingiusto che le cose alla fine si perdessero così, naufragassero, tra la gente che spariva o ci restava sotto e ci si perdeva senza una ragione. Si faceva tutto quel casino per rincorrere dei sogni e rincorrendoli ci si perdeva

Al centro di questo vortice c’è Diego, il migliore amico di Taddeo, che si trasferisce a casa Romano quasi per occupare la sagoma della mancanza. Diego non si ferma mai: beve, passa da un lavoro a un altro, inizia e abbandona svariate volte l’università, improvvisa serate bizzarre, si perde in un amore che poi chissà se è davvero amore: tutti colpi sparati d’istinto ma un po’ alla cieca, per definire un perimetro, per saggiare il buio e stanare un nemico che neanche sa se esiste, se ha una forma, pure lui.

Era come assistere da lontano al naufragio di qualcosa che per te rappresenta la più grande speranza di cui sei capace. È una grande nave e dentro ci sono tutti, tutti diretti verso il continente di quello che gli pare a loro, con i loro sogni, le loro aspettative, quel qualcosa (...) che tutti si aspettano dalla vita. Quel qualcosa però non si raggiunge mai, la nave comincia ad affondare e tutti sono troppo presi da altro per accorgersene (...). Forse anche tu, pure se sei lì solo a guardare e ti senti lontano, sei sulla Grande Nave.

I personaggi del romanzo si agitano continuamente alla ricerca di un senso, talmente tanto e disperatamente che a volte dimenticano la stessa necessità di trovarne uno. Sono così veri, nella loro assurdità, che ci sembrano amici di vecchia data. Custodi di inquietudini e speranze universali a cui ci affezioniamo in fretta. Contribuisce la scelta di un linguaggio parlato, colloquiale, autentico.

Descritto come Cent’anni di solitudine a Rustica, a ragion veduta, Grande nave che affonda è un romanzo sul presente imploso, sul rapporto tra il tempo che passa e il naufragare del proprio mondo personale, sulla sospensione che si fa cifra di una generazione – la nostra – impigliata ai margini di una promessa impossibile. Da qui un lento sprofondare in un fango sempre più denso, guardando al futuro con rassegnazione, aspettando e aspettando qualcosa, fino a che non sarà troppo tardi e non sarà arrivato nulla. E qui, Cappuccini – classe ’91, di cui questo è lo straordinario esordio – ci rivela il cuore del suo libro: nessuno ci tirerà fuori in tempo se non lo faremo noi stessi. I personaggi di Torricella cercano di fare questo, in fondo. Non importa che ci si renda conto che alla fine tutto verrà comunque inghiottito dal tempo, quel che importa è che qualcosa resterà lo stesso –  qualcosa di sottile, di inesplicabile, di potentissimo.

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