Non è facile raccontare il periodo che stiamo attraversando. Certi saggi sono pesantemente pessimisti, altri ti lasciano in un alone di paranoia, altri tendono a convincerti che è tutto nelle tue mani appioppandoti un carico di ansiogena responsabilità.
E poi c’è Alec Ross. Per fortuna.
I furiosi anni venti è un saggio illuminante sulla fase storica che stiamo affrontando, un punto di vista fondamentale per capire quel che sta accadendo e quanto questo potrà rivelarsi un problema o un’opportunità.
Il genere di libro in cui ti fermi a sottolineare le frasi, per intenderci.
Prendete questa, ad esempio: “Non dobbiamo mai dimenticare che la medicina è per la gente, non per il profitto”. Sono parole del presidente dell’azienda farmaceutica Merk, nel 1950. Ho esitato qualche istante, tanto mi sono apparse lontane. E se a me, che ho 45 anni, rivelano quanto la nostra generazione sia assuefatta a certi comportamenti tipici della globalizzazione, a un adolescente potrebbero sembrare termini da favola.
La politica e l'economia del mondo intero sono sempre più governate da poche multinazionali americane e cinesi. Per non rimanere schiacciata, l'Italia ha bisogno di un modello di crescita che rispetti i diritti dei cittadini. I furiosi anni venti sono appena cominciati. La partita che deciderà il nostro futuro è aperta.
In uno studio condotto da due politologi circa l’importanza della democrazia secondo i millennial americani, il 24 per cento ha detto che vivere in una democrazia fa schifo.
“È la prima generazione che ha vissuto fin dal giorno in cui è nata sotto le regole della globalizzazione. Hanno visto calare lo stipendio dei genitori, hanno visto togliere la copertura sanitaria, le pensioni… Hanno probabilmente visto la famiglia perdere la casa. E poi si sentono dire: "Bene, adesso vai al college e trovati un buon lavoro" E loro lo fanno. Ne escono carichi di debiti, e hanno nella stessa settimana tre o quattro datori di lavoro, e non riescono a rimanere a galla. E così iniziano a identificare capitalismo e democrazia con insicurezza e miseria”.
Dagli anni Settanta abbiamo assistito a una escalation delle grandi imprese che hanno perseguito senza scrupoli le spietate leggi del capitalismo azionario creando un divario enorme tra l’élite mondiale degli azionisti e i cittadini. Un crescendo di pratiche finanziarie che hanno eroso il potere dei contratti sociali di tutto il mondo. Questo mentre le organizzazioni sindacali perdevano via via ogni potere.
“Il 99 per cento di coloro che leggono questo libro potrebbe pagare meno tasse e i nostri governi potrebbero avere più da spendere se correggessimo un sistema in cui vanno perse migliaia di miliardi di imposte ogni anno, mentre intere nazioni finiscono ostaggio degli interessi stranieri.”
Se è vero che Google ci dà l’opportunità di scoprire marchi e rivenditori che altrimenti non conosceremmo, è anche vero che degli introiti provenienti dalle aziende italiane che usufruiscono del suo servizio, Google paga solo lo 0,7% di tasse per ogni transazione. Questo perché “Google ha allestito una serie complessa di trasferimenti e leve per sottrarre il ricavato al fisco italiano”.
Le multinazionali di tutti i settori sfruttano una falla dell’economia mondiale che permette loro di effettuare pagamenti da una sussidiaria a un’altra per spostare i profitti verso Paesi con imposte più basse, aumentando i costi in quelli a tasse più elevate. Guadagni che per i Paesi in cui fanno affari sono perdite. E quando i governi perdono introiti, è la società a subirne le conseguenze.
Nel frattempo, il potere dei governi democratici è crollato mentre i modelli autoritari stanno guadagnando terreno.
Nel panorama geopolitico, stiamo assistendo a una corsa alla supremazia tecnologica tra USA e Cina che riguarda settori di big data, intelligenza artificiale, privacy, intelligence e difesa.
Una corsa in cui la Cina è in netto vantaggio a discapito della libertà individuale dei suoi cittadini. Sostenendo le compagnie private, il governo cinese si garantisce l’acquisizione dei dati da loro raccolti per poi ricondividerli al fine di ottimizzare gli algoritmi e rafforzare il proprio controllo sul contratto sociale.
“Un contratto sociale dinamico si basa sulla possibilità dei cittadini di esprimere il dissenso in maniera collettiva. Ma quando Stato e imprese private possiedono tante informazioni intime su ognuno di noi, l’azione collettiva diviene impossibile”.
Gestione dei dati e intelligenza artificiale sono questioni globali, così come lo sono il cambiamento climatico, i diritti umani, la disuguaglianza e l’elusione fiscale. Alec Ross ci spiega come siano tutte interconnesse e come solo attraverso il giusto bilanciamento dei diritti e delle responsabilità di cittadini, Stato e grandi imprese, sia possibile gestirle nella maniera migliore.
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