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Giancarlo De Cataldo racconta Le illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane di Honoré de Balzac

Quando si parla di livre de chevet, in realtà penso a due libri: al dittico composto da "Illusioni perdute" e da "Splendori e miserie delle cortigiane" di Honoré de Balzac. Mio padre era un professore di francese e sosteneva che non c'era altro da imparare dai libri se non da Dante, Shakespeare e Balzac. E, con metodi non propriamente democratici, mi obbligò a leggere quest’ultimo che, per un ragazzo nato negli anni ‘50 e formato dalla cultura beat americana, era considerato roba morta e sepolta

Magistrato e scrittore, Giancarlo De Cataldo ha, coi suoi romanzi, instradato moltissimi lettori verso l’apice del noir italiano ed europeo.

Il filone inaugurato quindici anni fa da De Cataldo col suo Romanzo criminale assolve (almeno) a una duplice funzione, nei confronti del lettore: perché a un intrattenimento basato su caratterizzazioni efficaci e meccanismi narrativi oliatissimi affianca una ricostruzione credibile e “istruttiva” delle trame inquietanti che hanno segnato drammaticamente l’Italia. Ed è proprio in queste comédies humaines che l’anima balzacchiana di De Cataldo emerge, lasciando spesso intravedere in filigrana le letture di cui il nostro si è nutrito da adolescente.

Già: una “commedia umana” animata da una moltitudine di personaggi che lasciano un segno – spesso nerissimo – sui territori e nelle società in seno alle quali agiscono e intessono relazioni. Quella Comédie humaine divenuta “il titolo della storia della società rappresentata in azione” attraverso la fortunatissima e seminale ricetta proposta dallo scrittore cult del nostro autore: Honoré de Balzac.

Il progetto di Balzac

Un affresco della società

Commedia umana è il titolo che Balzac diede al progetto organico di romanzi da lui pianificato e volto a descrivere gli aspetti e gli ambienti della società del suo tempo. Il ciclo romanzesco delle Illusioni perdute fa parte della prima sezione, "Studi di costume del secolo XIX"

Senza le Illusioni perdute e la storia del fragile e disperato Lucien, ragazzo di provincia che approda a Parigi, con l’intento di conquistarla non disdegnando metodi criminali, non ci sarebbe stato nessun "Romanzo criminale”

Balzac è un autore cult per eccellenza: emblematico rappresentante della tradizione del romanzo realistico dell’Ottocento, si distinse per la sua produzione letteraria esuberante e contraddittoria. Fu molto amato dal pubblico e da autori posteriori, come Baudelaire e Dostoevskij, che nel 1838 tradusse in russo Eugénie Grandet.

Fu meno apprezzato, però, dagli editori. Collaborò a giornali e periodici ma, a seguito di alcuni investimenti sbagliati, decise di dedicarsi esclusivamente (e freneticamente, vista la mole e la qualità dei risultati prodotti) all’attività di romanziere, così da cercare di rimediare agli ingenti debiti che aveva accumulato. Alla fine del 1835 si impegnò in una nuova avventura finanziaria: convinto di fare “un affare”, rilevò la rivista legittimista Le Chronique de Paris e scrisse euforico a Madame Hanska, la donna da lui amata: “Voglio il potere in Francia e l’avrò”. Dopo pochi mesi, nuovi debiti, nuovi creditori e infernali liti con gli editori travolsero l’entusiasmo di Balzac e ne compromisero la credibilità.

Gli inferi del “mercato delle lettere” e i sordidi meccanismi che regolano l’editoria del XIX secolo sconvolgono anche la vita di Lucien de Rubempré, giovane provinciale ambizioso e pieno di ideali, protagonista del ciclo romanzesco delle Illusioni perdute, protrattosi fino al 1843 con I due poeti, Un grand’uomo di provincia a Parigi e Le sofferenze di un inventore, e del romanzo successivo Splendori e miserie delle cortigiane (1839 – 1847).

Nel racconto di Balzac ci sono l’avventura, la passione, il crimine, il tradimento, la forza, i poteri occulti e la lotta di classe

Le ambiziose illusioni di Lucien si trasformano, ben presto, nelle illusioni perdute intimamente legate, nell’esperienza dello stesso Balzac, alla feroce realtà sociale parigina.

- Vedo la poesia gettata nel fango, - rispose.
- Eh, mio caro, vi fate ancora troppe illusioni!
- Ma dunque bisogna proprio strisciare e subire questi grossi Matifat e Camusot, come le attrici subiscono i giornalisti, come noi subiamo gli editori?
- Amico mio, - gli disse all’orecchio Étienne indicandogli Finot, - vedete quel ragazzo? È brutto, manca di spirito e di talento, ma è avido, vuol far fortuna a ogni costo, è abile negli affari. Ricordate? Nella bottega di Dauriat mi ha spillato il quaranta per cento con l’aria di farmi un gran favore … Ebbene, ci sono delle lettere nelle quali diversi geni in erba si mettono in ginocchio davanti a lui per cento franchi.

È il mondo cupo delle leggi imposte da una realtà storica che riduce la coscienza a “uno dei bastoni che ognuno impugna per bastonare il vicino e di cui non si serve mai per sé stesso”, senza offrire alcuno spiraglio alle illusioni di una gioventù tutta protesa verso il futuro e “sensibile all’incantesimo di quella vita fatta di luci e d’ombre”, di ricchezza e riscatto.

Impressionante e simbolica è l’affinità tra il racconto di Balzac e la ricostruzione della società “criminale” e degradata operata da De Cataldo in molti dei suoi romanzi: una società dominata dalle leggi del mercato e dal rapace dio denaro, in cui corruzione e mercificazione si abbattono implacabilmente anche sul mondo culturale, secondo un modello nel quale al successo subitaneo seguono sovente miseria e distruzione.

Un intero universo si fa universo narrativo eterno, fissando delle leggi e degli archetipi che, almeno nel mio caso, mi porto appresso da cinquant’anni e mi accompagneranno per tutto il resto della vita

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