È sempre bello chiedere a qualcuno, un amico, un parente “che cosa leggi?”. Oppure: “qual è il tuo libro del cuore?” E vedere come la persona interpellata risponde, con quanta passione o leggerezza, in base al calore che il libro gli ha trasmesso. Se questa domanda viene posta a uno scrittore l’aspettativa cresce, perché da una donna o un uomo “di lettere” conoscere IL titolo che fra le centinaia di letture si è distinto, ha un effetto in più. Se poi risponde con grande cura del dettaglio, accennando al fatto che l’opera in questione gli ha fatto battere il cuore, è un ulteriore emozione.
Fabio Stassi ci ha trasmesso molta passione usando proprio queste parole: il suo libro sul comodino, quello che sempre gli ha fatto battere il cuore e che periodicamente torna a sfogliare, è La lingua salvata. Storia di una giovinezza, di Elias Canetti.
Fin dal suo apparire, nel 1977, questa «storia di una giovinezza» è stata accolta da molti come un «classico immediato», uno di quei libri destinati a restare, che coinvolgono profondamente ogni specie di lettori. Con la sua prosa limpida, tesa, vibrante in tutti i particolari, Canetti è qui risalito ai suoi ricordi più remoti
Lo abbiamo intervistato nello spazio Sellerio (vi consigliamo di recuperare il nostro incontro) dove presentava il suo nuovo romanzo Notturno francese, al Salone del Libro di Torino 2023. Dopo aver approfondito il mondo del suo ultimo libro (apprezzato anche dalla nostra recensione), ci ha indicato il primo volume dell’autobiografia di Canetti come opera cult. La lingua salvata è il primo capitolo di un Bildungsroman per eccellenza, un romanzo di formazione dove assistiamo all’evoluzione del protagonista; in questo caso è anche un’autobiografia dove Elias Canetti ripercorre le tappe della sua vita, divisa tra diversi paesi e attraversata da una miriade di linguaggi.
Lui è nato in Bulgaria, ma la lingua dell’infanzia era lo spagnolo; i nonni erano turchi perché venivano da Istanbul ma la famiglia era ebraica, quindi l’ebraico era la lingua dei riti. Poi sente un taglialegna armeno che canta una canzone dei profughi, quindi l’armeno diventa la lingua dei profughi. Poi a Manchester muore il padre, leggendo il giornale, e l’inglese diventa per lui la lingua della morte
L’autobiografia, composta da altri due volumi, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi, fu pubblicata tra il 1977 e il 1985, e fu subito accolta da una certa aura di classicità. Soffermandoci solo su La lingua salvata, a sua volta diviso in quattro parti, la storia della famiglia Canetti, commercianti di antica origine spagnola, si delinea attraverso il ricordo stupito e aureo del piccolo Elias, cresciuto però da due genitori luminari che vogliono per il figlio un futuro di cultura e di studio, in opposizione alla mentalità “medioevale” del paese bulgaro da cui provengono.
Il resoconto storico si arricchisce quindi di una dimensione intimistica e personale, dove la passione per la lettura e la scrittura deve molto all’affetto dei genitori, soprattutto alla figura della madre che svilupperà con Elias un rapporto di forte dipendenza emotiva, alternando devozione e gelosia. L’attenzione alla parola e alle lingue della sua vita offre una naturale via d’interpretazione alla propria storia, colma di idiomi e suoni provenienti da ogni parte del mondo: lo spagnolo, il turco, il bulgaro, l’ebraico, l’inglese. E lui, alla fine, quale lingua sceglierà per scrivere?
Scriverà in tedesco perché suo padre e sua madre si erano innamorati a Vienna e il tedesco era per loro la lingua dell’amore
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