Un treno attraversa la Russia, ci si siede su una poltroncina e per tre giorni si rimane lì, a guardare dal finestrino il succedersi rapido di paesini sperduti, immersi nella steppa. C’è chi sale solo per un paio di fermate, chi invece condivide lo scompartimento nella notte buia; l’unica costante è l’incessante «frastuono di vetri e sedili», ma a quello ci si fa presto l’abitudine.
Su quel treno, a inizio primavera, ci sono due uomini che il caso ha posto uno di fronte all’altro, e come capita spesso quando si è costretti in un luogo piccolo per un tempo abbastanza lungo, i due si mettono a parlare. O meglio uno parla, con lo stesso ritmo frenetico del treno in corsa, e l’altro ascolta, invischiato fin da subito in una storia intima e articolata da cui è impossibile scostarsi.
Infatti quell’uomo magrolino, che prima di cominciare a raccontarsi se ne stava in disparte schiacciato contro il finestrino, scrutando il mondo dai «suoi occhi straordinariamente brillanti che si spostano velocemente da un oggetto all’altro», altri non è che un assassino. E d’impeto, guidato dal bisogno incontrollabile di spiegarsi, confessa a uno sconosciuto di aver ucciso sua moglie.
Tolstoj ci porta dentro a una storia disturbante, e all’inizio si prova quasi un moto di repulsione, ma strettamente connesso al bisogno di capire, di scoprire che cosa c’è dietro a un gesto così profondamente netto e disumano. Che cos’è il rapporto tra un uomo e una donna? Come evolve nel tempo? Come si disallineano due vite intrinseche? Non bisogna farsi ingannare dal fatto che questo racconto sia stato scritto più di cento anni fa, perché il tema è attuale più che mai e qui estremamente a fuoco.
C’è un momento in cui il rumore di sottofondo cambia, le note della sonata di Beethoven coprono lo stridio metallico delle rotaie e pervadono il vagone. L’uomo modifica il tono, diventa fragile e umano, «Su di me l’esecuzione di quel pezzo ebbe un effetto terribile: fu come se mi si scoprissero sentimenti nuovi, che mi pareva di non aver mai conosciuto» dice. Quell’attimo di apertura ci fa sbirciare dentro al suo cuore, ci fa comprendere l’incomprensibile. Ci ritroviamo spiazzati, e come l’uomo che gli sta seduto davanti, diventiamo specchio delle sue azioni, quasi senza accorgercene, al ritmo stridulo di un violino.
Sonata a Kreutzer ha la capacità di trascinarci dentro a una storia dalla scorza dura, dalla quale inevitabilmente si uscirà frastornati ma capaci di una comprensione nuova. Quel che è certo è che qui la morale viene sventrata e bisogna essere pronti a correre questo rischio.
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