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Pianissimo di Camillo Sbarbaro, il cult di Mencarelli

Ricordo ancora il luogo dove lo lessi la prima volta, un po’ come i grandi amori, in cui ti ricordi dove hai visto il tuo lui o la tua lei. È un libro straordinario, perché perlustra la natura umana in un’ottica già novecentesca, al limite del patologico se vogliamo, ma con una lingua che inchioda

Daniele Mencarelli ci dimostra che non è mai troppo tardi per riconoscersi tra i versi di una poesia.
E chi più di lui, finalista Premio Strega 2020 e poeta, poteva consigliarci una pietra miliare della poetica di inizio Novecento?

Pianissimo di Camillo Sbarbaro è quello che Mencarelli considera, letteralmente, il «libro della vita, diventato come un cromosoma del mio DNA».

Pianissimo
Pianissimo Di Camillo Sbarbaro;

Camillo Sbarbaro è riconosciuto come una delle voci più significative della poesia del primo Novecento italiano. Nella sua produzione, "Pianissimo" è una delle opere più emblematiche, che denuncia un disagio esistenziale e una crisi di valori.

Che siate appassionati di poesia o meno, questa raccolta – più volte rivisitata negli anni da Sbarbaro stesso – si rivela a noi portando a galla un tema mai affondato veramente, forse rintracciabile nella società attuale, oggi più che mai: la solitudine.

Tra città affollate e all’avanguardia, famiglie frammentate e una natura al collasso, sembra che il benessere sia solo momentaneo e mai definitivo. Pianissimo è un viaggio esplorativo nella propria interiorità, un’analisi di coscienza che – relazionata con l’esterno – fornisce un ritratto dell’alienazione e dell’abbandono, riducendo tutto alla mera necessità.

Secondo Sbarbaro, è infatti per inerzia e bisogno che progrediamo, procreiamo, senza godere realmente di ciò che viviamo.
Quanto siamo estranei gli uni dagli altri? Quanto a fondo dobbiamo cercare nella nostra esistenza, prima di confessare, “pianissimo”, che ciò che proviamo – molte volte – è dolore?

Nell'opera, scopriamo tratti dell’autore tra ogni pagina: estraneo ai salotti letterari novecenteschi, a quella cultura raffinata che rigettava, Sbarbaro si fa testimone dell’esistenza, prendendo coscienza del senso di inutilità che tanto colpisce – anche oggi – la collettività, conducendo il lettore all’inevitabilità della rassegnazione.

«Taci, anima stanca di godere
e di soffrire (all’uno e all’altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d’ira o di speranza,
e neppure di tedio»

Sbarbaro, in Pianissimo, si distacca definitivamente dallo stile letterario aristocratico, avvalendosi di licenze poetiche e di un linguaggio diretto e colloquiale, guardandosi dentro e, forse, comunicando più di quanto le sue rassegnate parole esprimano.

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Conosci l'autore

Camillo Sbarbaro è stato un poeta e prosatore italiano. Visse quasi sempre in Liguria; lavorò prima in un’industria siderurgica, poi insegnò greco e latino fino a quando dovette lasciare l’insegnamento per aver rifiutato di iscriversi al partito fascista. Fu erborista di fama internazionale: le sue raccolte di licheni furono acquistate da musei europei e americani. Nel ’51 si ritirò con la sorella a Spotorno; ma si spense nell’ospedale di Savona. Esordì con le poesie di Resine, del 1911, ma si affermò con Pianissimo (1914), che attirò l’attenzione della critica e gli aprì un periodo di intensa collaborazione a riviste come «La Voce», «Quartiere latino», «La Riviera ligure». Seguirono le prose di Trucioli (1920) e Liquidazione (1928), caratterizzate da un frammentismo e da una ricerca espressiva, fra lirica e narrativa, tipici degli scrittori «vociani». Nel dopoguerra pubblicò altri volumi di prose, dai titoli emblematicamente riduttivi (Fuochi fatui, 1956; Scampoli, 1960; Gocce, 1963; Contagocce, 1965; Cartoline in franchigia, 1966, che rievoca l’esperienza della guerra). Pubblicò anche due raccolte di poesie, Rimanenze (1955) e Primizie (1958), queste ultime anteriori per epoca di composizione a Pianissimo: tutte poi confluirono nel volume Poesie del 1961. Fu anche autore di traduzioni dal greco (Euripide) e dal francese (Flaubert e Huysmans).Se nelle prime prose è presente tutto il vigore dell’espressionismo e del moralismo della «Voce», nelle liriche il disagio esistenziale si stempera in una passiva osservazione della vita che si traduce in un singolare registro narrativo e in un linguaggio antioratorio, fissato su tonalità sommesse, tese a restituire una «verità» psicologica e morale. Sul piano tematico, accanto a un certo «maledettismo» di stampo rimbaudiano e baudelairiano, convive il richiamo alla tradizione carducciana e pascoliana per dar vita a una poesia paesaggistica (Rimanenze) tipica della letteratura ligure.

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