A un certo punto, dall’Oriente la «morte nera» approda in Sicilia, probabilmente a Messina. È il 1347, l’anno dopo la “peste nera” (quella che fa da sfondo al Decamerone di Boccaccio). Si abbatte su tutta l’Europa. La conseguenza è una rapida crescita della disuguaglianza.
All’inizio la morte diffusa produce un leggero innalzamento del prezzo del lavoro, in assoluto e rispetto ai valori delle terre.
L’effetto nell’immediato è a favore dei meno abbienti a scapito dei possidenti. Ma è effimero. Si apre un lungo ciclo in cui le disuguaglianze aumentano e se c’è crescita economica, questa favorisce i più abbienti. I meno abbienti vedono la loro capacità di spesa diminuire. Bisognerà attendere la prima industrializzazione - tre secoli e mezzo dopo - perché la curva della crescita veda le classi inferiori non solo nel ruolo di spettatrici a bordo campo.
È questo lo scenario che ci aspetta? Forse.
Pierluigi Ciocca, in meno di 150 pagine e grazie a una capacità di scrittura avvincente, precisa e non tecnica (grandi qualità), ci porta dentro una storia dell’umanità a partire dal conflitto ricchi/poveri lungo un arco di tempo di circa 5000 anni, dalle prime economie in area mesopotamica, fino alla nostra attuale condizione incerta. In mezzo ci sono le grandi trasformazioni agrarie, la rinascita delle città, i processi di abbandono delle campagne, la crescita dei marginali, dei poveri e dei mendicanti nelle realtà urbane che hanno attraversato la storia dell’umanità nel secondo millennio. Soprattutto ci sono le sfide che al tempo presente – anche prima della pandemia – hanno posto la necessità di imprimere una svolta strutturale del nostro vivere.
Le tre “i”, le chiama Ciocca. Ovvero: «iniquità», «instabilità», «inquinamento».
Sono le sfide che abbiamo davanti da almeno mezzo secolo (da quando il Club di Roma nel lontano 1972, pubblica il rapporto sui limiti dello sviluppo, ora più noto come I limiti della crescita) ma che a lungo abbiamo ignorato, convinti di superare quell’incrocio rilanciando lo slogan “Più mercato, meno Stato”.
La pandemia ci ha riportato sull’incrocio, dunque alla necessità di pensare politiche in cui lo Stato sociale, in questi quarant’anni guardato con diffidenza e come una «scoria del passato» è tornato prepotente a chiedere udienza, per provare a disegnare un nuovo futuro condiviso.
Niente utopia, dice Ciocca. La povertà non scomparirà, ma il ritorno dello Stato sociale aiuterà a ridurre la forbice. Non sarà poco.
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