[...] per i giovani la proprietà privata e altre idee di prima della rivoluzione erano inconcepibili, barbare. E ora stavano marciando su una terra invasa da chi quegli usi barbari e inconcepibili voleva ristabilirli proprio sul suolo sovietico...
Claudia Zonghetti, la voce italiana di Vasilij Grossman, ci parla di Stalingrado. Ascolta le sue parole
Chiunque non abbia ancora avuto l'occasione (o il tempo, data la mole), di leggere Vita e Destino, dovrà ritardarne la lettura ancora per un po', quantomeno per andare a recuperarne l'antefatto, Stalingrado, che è perfino più lungo. Le sue circa mille pagine ci avvicinano a una Russia in lotta, tumultuosa e che reagisce con forza e disperazione all'invasione nazista, una Russia "dall'altro lato" rispetto a quella di cui abbiamo costantemente notizia in questi giorni.
Pur trattandosi di un romanzo storico, il focus è estremamente intimo: l'occhio di Grossman è puntato sulle vicende della famiglia Šapošnikov e dintorni, mentre le loro vite vengono sconvolte dall'imminente battaglia di Stalingrado. L'enorme offensiva di Hitler sul fronte orientale ha spinto le forze sovietiche a una ritirata prolungata e Stalingrado, che sorge su una scogliera vicino al fiume Volga, è tutto ciò che separa i nazisti dalla steppa kazaka ricca di petrolio.
La portata della storia raccontata da Grossman è immensa, contemporaneamente microscopica e panoramica, ed è proprio in questo approccio che risiede la sua potenza narrativa.
Il romanzo si apre nell'aprile del 1942, quando il treno di Mussolini si ferma alla stazione di Salisburgo, dove Hitler è in attesa di discutere di una grande offensiva tedesca nella Russia meridionale. Subito dopo, il punto di vista è quello di un comune contadino russo, Pëtr Semënovič Vavilov, che ha appena ricevuto i documenti per la convocazione e si preoccupa ora di non avere abbastanza tempo per lasciare alla propria famiglia la legna che li potrà tenere al caldo per il resto dell'inverno. «Un contadino che lascia il suo villaggio per la guerra non sogna medaglie e gloria», riflette Vavilov. «Sa che probabilmente sta per morire».
Quando Pëtr Vavilov, un giorno del 1942, vede la giovane postina attraversare la strada con un foglio in mano, puntando dritto verso casa sua, sente una stretta al cuore. Sa che l’esercito sta richiamando i riservisti. Il 29 aprile, a Salisburgo, nel loro ennesimo incontro Hitler e Mussolini lo hanno stabilito: il colpo da infliggere alla Russia dev’essere «immane, tremendo e definitivo».
Più di chiunque altro nella storia, Hitler fece appello ai più bassi istinti umani e, proprio perché lui per primo era in loro balìa e ne era stato generato, li istillava ogni giorno negli altri. Era consapevole, però, della forza dell’etica e del bene, e ne era consapevole proprio perché ne era privo.
Molto più che in Vita e Destino, ogni pagina di Stalingrado è intrisa di fiducia nella Russia bolscevica, vessillo inestirpabile che guida il popolo: lo si legge con chiarezza sugli «alti pannelli con le scritte: "Oltre il Volga – il nulla!", "Non un passo indietro", "Difendiamo Stalingrado!", e altri con l’elenco dei successi dei soldati dell’Armata Rossa, che avevano distrutto panzer e cannoni semoventi e sconfitto la fanteria e l’artiglieria d’assalto tedesca»; in questo modo Grossman rende omaggio al sacrificio individuale e collettivo che fermò l'avanzata nazista contro avversità altrimenti schiaccianti, senza lesinare su dettagli strazianti che contribuiscono a umanizzare i suoi protagonisti in opposizione alla barbarie nazista.
Inoltre, ciò che rende Stalingrado un romanzo meno filosofico, più viscerale di Vita e destino è proprio l'attenzione di Grossman all'interiorità del singolo, che si alterna con una visione storica angosciante ma non priva di speranza: la solidarietà dell'autore emerge continuamente nella cronaca di quella che è una «guerra popolare» in cui «grandi azioni possono essere compiute da persone semplici e comuni».
Sarebbe sbagliato pensare a Stalingrado come a un romanzo cupo, preconcetto comune a chi si approccia alla letteratura russa senza conoscerne a fondo i motivi ricorrenti. Stalingrado brulica di amore, di devozione e di meravigliosi, perfino frequenti, lampi di umorismo. A volte possiamo riscontrare questi tratti tutti insieme, come nella descrizione dell'anziano colonnello d'artiglieria i cui piedi sono così piccoli che manderà la moglie ad acquistargli le scarpe nel reparto per bambini del negozio dell'esercito.
Ci sono decine di momenti simili, ma i passaggi più indelebili, che ci riportano bruscamente alla realtà, arrivano durante la battaglia stessa. I resoconti dettagliati di giovani uomini disposti a morire per guadagnare abbastanza tempo perché i rinforzi arrivino dalla sponda orientale del Volga hanno un sapore decisamente epico, volto a suonare le corde più patriottiche del cuore del lettore.
Non mancano i momenti di pura e semplice commozione, attualissimi alla luce degli eventi che stanno sconvolgendo l'Ucraina in questi giorni. Non può non far riflettere la scena in cui l'educatrice di un orfanotrofio parla dei bambini sotto la sua protezione, che hanno le provenienze più disparate: «Tra l’altro, la guerra mi ha portato qui una mezza Internazionale. Prima avevo solo russi, adesso mi arrivano dall’Ucraina e dalla Bielorussia, ho gli zingari e i moldavi, ne ho di ogni provenienza, insomma. E io per prima mi stupisco di come vadano d’accordo, di come si sentano tutti uguali. Se capita che litighino, è perché sono bambini. Litigano quando giocano a calcio, ma lo fanno anche i grandi. E sono molto affiatati: russi, ucraini, armeni, bielorussi – sono una famiglia...»
Stalingrado è un romanzo monumentale, non solo per dimensioni, ma per la portata della sofferenza che riesce a trasmettere, una sofferenza sommessa, che accompagna le pietre degli enormi palazzi e la gloria dei generali, «fatta di lacrime e sussurri, di ultimi respiri e del rantolo di chi muore, di grida di disperazione e di dolore». Grossman ci ha fatto dono di un tipo di sofferenza a cui non si può non esporsi per prendere coscienza degli errori che non andrebbero più commessi, e di una narrazione che ci ricorda che da sempre sono le persone, non le nazioni, ad andare in guerra.
Claudia Zonghetti ci racconta anche La Russia di Putin e l'incontro profondo e viscerale con le sue parole e le sue pagine: uno dei momenti portanti della sua vita, non solo di traduttrice, ma anche di essere umano
«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare [...]»
Specchio del mondo in cui viviamo, le classifiche hanno visto nelle ultime settimane tra i libri più venduti "Stalingrado" e "La Russia di Putin", di Anna Politkovskaja. Leggi il nostro approfondimento e ascolta il consiglio di lettura di Titti Marrone.
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