Penso che il giallo le stia molto bene, shachō, come il fiore del suisen.
In Giappone, ad annunciare l’arrivo imminente della primavera è il giallo vibrante e solare del narciso: considerato uno dei quattro fiori “amici della neve”, sbuca all’improvviso dalle coltri candide che l’inverno si lascia alle spalle e le trasforma in un cielo trapuntato di stelle a sei petali, dalla stessa sfumatura del sole marzolino. Privo della connotazione vanesia che subito richiama nella cultura occidentale, il colore del suisen è puro e schietto, così innocente da infastidire il protagonista dell’ultimo romanzo di Aki Shimazaki, Goro Kida; un fiore troppo femminile e infantile per un uomo del suo calibro.
Il cinquantenne Goro infatti si considera un perfetto uomo di successo, un esempio; presidente della storica azienda di famiglia nota in tutto il Giappone, conduce un’intensa vita mondana che gli permette di collezionare, come figurine, fotografie in compagnia di politici e personaggi di spicco del mondo dello spettacolo. Durante cene ed eventi pubblici si fregia del suo ventennale matrimonio con una moglie riservata, ma nel privato intrattiene diverse relazioni extraconiugali con donne in grado di alimentare il suo ego mai sazio.
Continua la pentalogia di Aki Shimazaki con Suisen, il narciso, il fiore che simboleggia il destino del protagonista. Goro Kida è il presidente di una grande azienda. Ha tutto ciò che desidera: una famiglia apparentemente perfetta, un ruolo sociale prestigioso. Peccato che il suo scintillante mondo si regga solo sull’ipocrisia e, d’improvviso, si sgretoli per precipitare rovinosamente.
È un Narciso nipponico di mezza età, troppo impegnato a controllare che al mattino non siano spuntati capelli bianchi sulle tempie per accorgersi che questo microcosmo per lui idilliaco è già incrinato da tempo.
Non mi sento in colpa, avere amanti è una prerogativa degli uomini virili e potenti: ho bisogno delle amanti per mantenere saldo il matrimonio; la voce con cui Goro si racconta è lapidaria e perbenista, a tratti persino anacronistica, come se provenisse da un’altra epoca, fossilizzata su pregiudizi e concezioni maschiliste che non hanno più ragione di esistere. E proprio perché dalle sue parole è palese il pericoloso oscillare di questo castello di carte, ciò che colpisce è l’assoluta cecità dell’uomo, che non riesce a vedere la realtà della situazione: tutto svanirà in un istante, come una bolla di sapone, e con autentica incredulità Goro sprofonderà nel buio della solitudine che si è creato da solo sin dall’infanzia, quando il dolore per la morte della madre si è subito scontrato con la richiesta di considerare tale la seconda moglie del padre.
Senza avere il tempo di elaborare il lutto, il Goro bambino è cresciuto nell’opprimente responsabilità di dover soddisfare le numerose aspettative della cultura giapponese ed è diventato un uomo incapace di amare, tanto gli altri quanto sé stesso. Sei un bambino ferito, Goro, un bambino che deve sedurre le donne per colmare il vuoto nel suo cuore; è Sayoko, una studentessa delle scuole serali umile e appassionata di psicologia che lui ha frequentato fino al giorno prima di sposarsi, l’unica ad aver mai capito cose si celasse davvero dietro la sua maschera dispotica e orgogliosa. Queste parole, insieme a una cravatta a fantasia di suisen dono della ragazza, dapprima infastidiscono Goro, lo tormentano come fantasmi; ma presto il narciso giallo diventa la Stella Polare che lo guida alla riscoperta di sé stesso e di tutti i sentimenti seppelliti nel profondo dell’anima, come fiori deposti accanto al ricordo della madre.
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