Avrei tanto voluto che la giornata fosse tutta come la colazione, quando le persone sono ancora sintonizzate sui loro sogni e non è previsto che debbano affrontare il mondo esterno
Il titolo, già, la dice lunga su cosa ci aspetta. È una citazione dagli Amores di Ovidio, che riporto in latino perché è anche l’esergo del libro «Perfer et obdura: dolor hic tibi proderit, olim». Quale dolore ci sarà utile, un giorno? A sentire James, il protagonista del romanzo di Peter Cameron, quello della solitudine. È lui a parlare, suoi sono i pensieri che seguiamo dall’inizio alla fine, e spesso troverete la parola ricorrente «disturbato». James Sveck si sente un ragazzo disturbato, perché sua madre glielo ripete da sempre, anche a scuola lo considerano così. E allora permettetemi ancora un’incursione latina: disturbato deriva da un termine che significa scompigliato. E forse allora si addice bene a James, figlio di una borghesia newyorchese medio alta, il padre avvocato, la madre gallerista d’arte, la casa a Manhattan, un ragazzo che prima di tutto, di fronte a tanta compostezza, è proprio questo: scompigliato, in disordine, come spettinato.
James Sveck vive a New York e non ha nessuna voglia di cominciare l'università. Si sente distante dai suoi coetanei, dal mondo che lo circonda e dalla sua famiglia, per questo è spesso solo e malinconico. In questo romanzo di formazione, il dolore della solitudine è analizzato da una penna capace di grande potenza espressiva.
Le persone, almeno per quel che ho visto fino adesso, non si dicono granché di interessante. Parlano delle loro vite, e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se si ha da dire qualcosa di interessante o di necessario
Il punto è che James è un solitario. È questo tratto che lo rende irrimediabilmente decentrato rispetto alla propria vita: non ama parlare con i suoi coetanei e sente il peso del mondo sulle proprie spalle. La sua sensibilità è straordinaria, perché gli permette di apprezzare l’arte e la letteratura, persino la sua filosofia tutta personale, ma gli impedisce, al contempo, di incontrare gli altri. Ha un confronto con la sua psicologa, la dottoressa Adler, e sua nonna, e il direttore della galleria d’arte di sua madre, John, ma tutto qui. Le sue relazioni vere e sincere si concludono in questo spazio ristretto. Forse ne è complice il divorzio dei genitori – tutte le famiglie americane, del resto, sono sfasciate come la sua, non c’è nulla di speciale – oppure la sua omosessualità latente. E dalle prime pagine del libro noi sentiamo che c’è qualcosa che non va, nella vita di James. Sentiamo il peso della sua solitudine, lo pensiamo e ci riflettiamo su insieme a lui.
Poi però proseguiamo la lettura. E fin qui, anche in queste poche righe, Un giorno questo dolore ti sarà utile appare come un libro malinconico. E siamo anche tentati di pensare che la formazione, il rito di passaggio, che si deve affrontare nelle sue pagine sia quella di James: un percorso che lo porterà ad aprirsi agli altri e a capirli, soprattutto. Eppure, più si legge più si comprende, senza possibilità di errore, che il percorso di formazione lo stiamo facendo noi lettori. Cominciamo vedendo James come disturbato – magari immedesimandoci in lui, perché la sua vita somiglia per molti versi alla nostra –, ma arriviamo a capire che per lui questa condizione di solitudine e di decentramento non è un problema. Siamo noi che tentiamo, in ogni modo, di riportarlo a essere ordinato, a seguire una via prestabilita e facile, una via tutto sommato borghese.
Odio quando qualcuno dice «Capisco». Non significa nulla ed è vagamente aggressivo. Ogni volta che lo sento in realtà mi suona come un «Vaffanculo»
Ci piacerebbe così tanto vedere James ammettere a sé stesso la propria omosessualità. Ci piacerebbe così tanto che si accettasse e potesse vivere una vita piena fatta di relazioni, amicizia, università e carriera. Ma la verità è che piacerebbe solo a noi. L’unico modo per dire a James che lo capiamo è lasciarlo essere ciò che è. A lui non dispiace. O meglio, gli dispiace solo quando la gente – suo padre, sua madre, i suoi insegnanti, i suoi coetanei – tenta di spingerlo su una strada già tracciata da altri. E noi non sappiamo se andrà all’università o se troverà un ragazzo, ma alla fine del libro non ci importerà. Alla fine del libro il nostro personale percorso di formazione ci farà dire che quel ragazzo scompigliato non se la cava così male come pensavamo. Anzi, se la cava molto meglio di noi.
Avrei passato il resto della mia vita in transito, protetto dal treno, mentre questo mondo impossibile e disgraziato sfrecciava fuori dal finestrino
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