Che esistenze effimere siamo. Dopo di noi
ritornano subito vuoti i luoghi della nostra comparsa,
come se non avessimo mai vissuto.
Per esempio noi due,
che dopo l’amore lasciammo la stanza, sappiamo:
il letto con le macchie di mestruo
potrebbe ricordare chiunque. Cosa deve succedere,
stupri, omicidi, un delitto anonimo –
perché si analizzi il sangue in laboratorio, dal cuscino
si prelevino campioni di pelle e di capelli.
E che cosa cambierebbe?
Noi non ci siamo più.
Resta con me, mi stai sentendo?
Ti prego, resta con me. Altrimenti non riesco a sopportare:
l’inferno del terrore quotidiano, il trionfo
di questa economia di scambi che rende tutto ingannevole,
trasforma ogni cosa in un prodotto,
di ogni luogo fa un deserto.
(Durs Grünbein, Le parole non dormono, a cura di Valentina Di Rosa, Crocetti, Milano 2023)
Una traccia di sangue in un letto d’albergo: solo questo rimane di due che si sono amati, passando. Perché passare è la nostra sorte. E non basterà nemmeno quella traccia ematica a parlare di loro, a meno che non siano accaduti fatti degni di indagine. Gli esseri si disperdono in un mondo che sembra quasi ignorarli, assorbirne e cancellarne ogni impronta.
Parte da questo materico grumo di umore un poeta tedesco di fama internazionale come Durs Grünbein, nato a Dresda nel 1962, per documentare, con un titolo massimamente impoetico, un bisogno d’amore.
Omaggio a una delle voci liriche più illustri della scena contemporanea, questa antologia propone un itinerario attraverso la produzione di Durs Grünbein lungo l’arco di oltre un trentennio. Sin dagli esordi, il suo immaginario si nutre dell’interesse per la “fabbrica” del cervello – e si tratta di una scelta con valore di programma: serve, da un lato, a dire un’idea di poesia radicata nella empirica immanenza del corpo; dall’altro a erodere i falsi miti su cui poggia il primato dell’homo sapiens.
Chi conosce la poesia di questo autore, che vive per lo più a Berlino ma trascorre una parte dell’anno a Roma e scrive spesso di viaggi e di luoghi visitati, sa che in lui non c’è mai o quasi mai un’intonazione patetica: l’asciuttezza, la neutralità, la crudezza sono, piuttosto, i suoi connotati espressivi. Del resto Grünbein è venuto al mondo dietro la cortina di ferro che separava l’Europa dell’Est da quella occidentale, nella città, Dresda, devastata dai bombardamenti alleati nella Seconda guerra mondiale. Viene da una storia che marchia a fuoco. Il suo sguardo è esatto e scientifico, la sua attitudine analitica. Eppure in questa poesia, che dal titolo promette così poca interiorità, all’improvviso lascia scoperta la propria ferita: chiede aiuto, chiede a un “tu” di fermarsi, di restare. Perché forse insieme potranno difendersi dal sapore di ruggine della realtà.
Si noti: la poesia non dice che l’amore rende abitabile il mondo. Dice piuttosto che il mondo senza una presenza gratuita, senza un corrispondersi, è inabitabile. Enumera potenze ostili e su tutte la dominante di una legge economicistica, che rende qualunque luogo un deserto. Il “tu” invisibile, praticamente assente dal testo come figura, segnalato solo da quella traccia materica dispersa, lasciata come un allarme nella mappa anonima dell’esistenza e dal pronome con cui viene invocato, rappresenta l’eccezione. È colei che col suo non obbedire alle leggi dell’interesse, agli alti e bassi della sorte, alla riduzione di ogni cosa a un valore negoziabile, rende possibile anche a chi parla, a chi scrive il referto costituito da questa poesia, esistere.
Viene in mente, con un tono diverso, il “tu” evocato da Montale, ad esempio in Mentre ti penso si staccano (da Satura, 1971). Lì si parla del «privilegio / di chi sostiene il mondo senza conoscerlo».
È quel che fa questa imprecisata, invisibile figura di amata, la cui presenza si disegna per contrasto sopra il grigiore della realtà. Allora il poeta dismette il tono caustico della sua maniera più proverbiale; allora chiede, trepidante: «Resta con me, mi stai sentendo?».
Di
| Crocetti, 2023Di
| Mimesis, 2021Di
| Einaudi, 2021Di
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