Simenon è apparentemente facile, da tradurre. In realtà non lo è affatto. Una volta qualcuno gli disse 'Lo sa che lei usa soltanto duemila parole del vocabolario francese?' e lui rispose 'Così tante?'"
Arriva l'ora de Le sorelle Lacroix, un romanzo di Georges Simenon che vive in una nuova, scintillante traduzione curata da altre sorelle, Federica e Lorenza Di Lella, sotto l'amorevole e attenta supervisione di Ena Marchi, editor della narrativa francese per la casa editrice Adelphi.
I titoli del papà di Maigret e di una sterminata produzione di quelli che lui stesso chiamava "romans romans" ("Romanzi romanzi") sono un corpus dinamico, in evoluzione, che - a dispetto del fatto che il loro autore è scomparso ormai da più di trent'anni - non accenna a fermarsi e a star tranquillo: né dal punto di vista editoriale, con nuove edizioni che si susseguono ogni anno in rilegato e tascabile presso moltissimi editori internazionali, né dal punto di vista delle fortune che questi romanzi riscuotono presso una platea sconfinata di lettori di ogni età e nazionalità.
Simenon è un autore-mondo, e questo forse è l'asse cardinale lungo il quale si muove il lavoro che Ena Marchi svolge da tanti anni per valorizzare l'intima coerenza narrativa delle opere del maestro belga. La difficoltà, chiaramente, sta nel riuscire a restituire la ricchezza delle voci e delle suggestioni che informano libri come Le sorelle Lacroix partendo da una lingua che ha il raro pregio di essere sempre piana e accessibile non risultando mai, però, piatta o didascalica.
"Sul comodino c'era solo una tazza di latte, perché il dottore, a ogni buon conto, aveva messo Geneviève a dieta. La camera affacciava sul giardino e i rami spogli di un albero si stagliavano netti dietro la musssola chiara delle tende". Ecco riassunto in un breve paragrafo un intero saggio su quelle che Simenon chiamava "mots-matière", "parole-materia", le uniche parole - ci spiega Ena Marchi - alle quali lui fosse interessato. Un lavoro di sottrazione, di semplificazione dei costrutti grammaticali; un lavoro di lima su dialoghi e personaggi fino a che ogni orpello o abbellimento inutile siano espunti dal testo, per farlo risplendere nella sua perfetta semplicità.
Ma attenzione, dietro tanta apparente semplicità si celano insidie che solamente agli occhi di traduttori esperti possono diventare altrettante sfide entusiasmanti, Di questo e di tanto altro abbiamo voluto parlare con Ena Marchi, per celebrare quella festa della lettura che ogni nuova traduzione di Simenon rappresenta. Guardate (o leggete) la nostra intervista: riemergerete da questo tuffo nel Mar di Maigret e il fiordo dei romans romans con la rete piena di tesori narrativi.
Nella casa delle sorelle Lacroix ogni gesto ha il sapore della vendetta: un tentativo di avvelenamento non meno che un suicidio, perfino il lasciarsi morire di inedia di una giovane donna che a molti pare una specie di santa. Una volta penetrato in questa atmosfera intossicata da rancori e sospetti, il lettore vi rimarrà invischiato, e non potrà che andare avanti, tra fascinazione e orrore.
Buongiorno, Ena Marchi! cominciamo col riassumere un ritratto della sua multiforme attività all'interno dell'industria editoriale e della casa editrice Adelphi...
Io sono editor della narrativa francese e della narrativa italiana. Ma siccome in Adelphi non siamo molti e curiamo molto i libri, mi sono occupata anche di libri ungheresi - per esempio dei Marai - mi sono occupata tanti anni fa di libri giapponesi, mi sono occupata di libri romeni - per esempio Cioran - ma diciamo che essenzialmente mi occupo dei libri francesi e dei narratori italiani.
In questo firmamento di "arcani maggiori" c'è un nome che ancora non è venuto fuori ma che ora faremo e che ricorrerà spesso nel corso di questa conversazione: è naturalmente quello di uno scrittore francese - che francese non era perché era belga - ed è il grandissimo Georges Simenon, autore di una quantità spropositata di romanzi contraddistinti da un'anomalia: sono tutti di altissimo livello... è una cosa abbastanza rara nella produzione di quelle che Scerbanenco chiamava le "macchine da scrivere", cioè persone che hanno una inopinata tendenza a scrivere tantissimo. Per nostra fortuna nel catalogo Adelphi ce ne sono moltissimi, di Simenon, tutti contraddistinti da una qualità molto alta. Com'è possibile?
Ah, come sia possibile francamente non lo so! So che lui aveva un metodo di lavoro: lui sosteneva di non avere nessuna fantasia.
Mi ricordo che una volta, in un incontro tra tra suo figlio e Camilleri questa cosa venne fuori... Sì, ma non partiva sempre da uno spunto reale: siccome aveva viaggiato in tutto il mondo e aveva una grandissima memoria, cioè registrava situazioni e atmosfere. Soprattutto, tre o quattro volte all'anno si metteva come diceva lui en état de roman, "in stato di romanzo"... buffa, come come definizione! allora lui che cosa faceva? scriveva del suo protagonista tutto quello che poteva, tutto quel che adesso chiamerebbero nelle soap "la bibbia del personaggio", addirittura da dove veniva la sua famiglia, che studi aveva fatto... cose che poi forse non entravano nel romanzo ma gli servivano per costruirlo. A quel punto lui ci metteva nove o dieci giorni, scriveva un capitolo al giorno identificandosi, mettendosi totalmente nella pelle del suo personaggio con una fatica mostruosa, tant'è vero che ne usciva stremato, da queste sessioni di scrittura.
Se si guarda alla struttura dei romanzi, c'è sempre questo andare avanti e indietro tra la storia che si sta raccontando e il passato del personaggio... che è quello che poi influisce, che determina il suo destino.
Dal numero civico 36 del Quai des Orfèvres, dove ha sede il commissariato con l'ufficio di Jules Maigret torniamo un attimo alla pioggia delle strade bretoni o normanne di cui diceva prima, perché per parlare della traduzione di un autore come Simenonm possiamo partire da quello che lui amava dire anche di sé stesso. Se doveva scrivere che fuori pioveva, come oggi a Milano sta piovendo, non diceva "fuori piove", diceva "Maigret si tolse l'impermeabile bagnato", veicolando così informazioni utili a comprendere il contesto e però dicendo anche qualcosa che riguardasse direttamente il personaggio. Qual è l'approccio migliore alla traduzione di questo stile inconfondibile, che riassume delle informazioni preziose per evincere il contesto senza risultare pedante?
Bella domanda... Simenon è apparentemente facile da tradurre. In realtà non lo è affatto. Qualcuno gli disse una volta 'lo sa che lei usa solo 2000 parole della lingua francese?' e lui rispose '... così tante???' perché, in realtà, l'aspirazione di Simenon - e lui lo diceva chiaramente - era usare solo quelle che lui chiamava "mots matière", "parole materia", perché quello che Simenon voleva era rivolgersi ai sensi del lettore, fargli sentire gli odori, i rumori... per esempio: se Maigret si affaccia alla finestra in una serata d'estate, sente dalle finestre aperte le radio - non c'era ancora la televisione, ovviamente - ma Simenon ti fa capire che non tutte le radio sono sullo stesso canale e quindi c'è questa specie di cacofonia, di sinfonia... ti fa sentire gli odori, ti fa sentire addirittura la consistenza degli oggetti, delle stoffe... Maigret entra in un salotto piccolo borghese di quelli che vengono tenuti sempre chiusi, con i divani e le poltrone coperte, le tende chiuse... allora c'è un particolare odore, che è quello della cera per pulire i mobili e della polvere che si accumula sulle tende. Tutto questo Simenon te lo fa sentire con parole precisissime e senza mai fare letteratura.
Simenon, naturalmente, non è solo Maigret, ma è anche quello dei "romanzi romanzi": "Tre camere a Manhattan", "La camera azzurra" e "Il piccolo libraio di Arkhangelsk", eccetera eccetera... oggi arriva "Le sorelle Lacroix": cosa possiamo dire di questo libro, che appare in una nuova traduzione dopo tanti anni e che i lettori avranno presto il piacere di leggere?
Dunque, "Le sorelle Lacroix" è un libro terribile. I titoli dei romanzi di Simenon, come sanno i lettori, sono sempre titoli molto anodini, titoli denotativi: "Il signor Cardinaud", "Le sorelle Lacroix", "Il piccolo libraio di Arkhangelsk"... in questo caso avrebbe potuto fare un'eccezione e chiamare questo romanzo "L'odio", perché tutto il romanzo gira intorno a una casa borghese. Siamo alla fine degli anni trenta, nella provincia normanna. Ecco la casa di un notaio, il notaio è morto. Ci sono le figlie e ci sono i figli delle figlie. C'è il marito di una di queste figlie e tutti si odiano: è un romanzo tremendo, è una situazione chiusa. Si svolge tutto in interni, come si direbbe al cinema, le scene sono quasi tutte in questa casa: pianterreno, primo piano, secondo piano... e tutto avviene qui dentro. È un romanzo di atmosfera straordinaria.
Sembra di sentire la trama un po di "Che fine ha fatto Baby Jane?" di Robert Aldrich... questo per dire che l'influenza di Simenon sulla cultura popolare in tutte le sue forme è impossibile da sopravvalutare: questo, a suo avviso, deriva dalla sua grande conoscenza dell'animo umano che è un elemento indispensabile per qualsiasi narrazione degna di tale nome? oppure dal suo stile?
Da che cosa deriva non saprei dirlo... però è vero che moltissimi scrittori riconoscono di aver letto Simenon.
Cioè, prendete qualunque romanzo di Simenon e leggetene una pagina e mezza, quando comincia il capitolo e poi la pagina seguente, insomma, e siete già dentro un'atmosfera, una situazione... e non potete non andare avanti. Le sue storie hanno avuto una grande influenza perché è vero che ancora adesso - con più o meno abilità, con più o meno fortuna - i registi continuano a trasportare al cinema i romanzi. È uscito in Francia e uscirà da noi (credo in autunno) un Maigret interpretato da Gerard Depardieu e uscirà un altro un altro film, ma non un Maigret, un "romanzo romanzo" che si chiama "Il presidente", che è la storia di un uomo politico che cerca di esercitare ancora il suo potere ma di potere non ne ha quasi più. Se pensate, per esempio, ai due film tratti dal "Monsieur Hire"... si continuano a girare film tratti da Simenon o comunque ispirati allo stile di Simenon. Dire il perché è molto difficile: secondo me è perché lui crea delle storie, ma al di là delle storie crea rapporti fra fra le persone. Voglio dire, noi continuiamo a leggere dei romanzi degli anni trenta e troviamo ancora lì dentro delle situazioni, dei rapporti, delle dinamiche nelle quali ci riconosciamo.
Gli autori scrivono i libri, li fanno andare per il mondo e li affidano alle cure amorevoli dei lettori... e anche gli editorim in qualche modom soprattutto quelli che lavorano con un "autore-mondo" com'è in fondo Simenon, possono avere figli e figliastri. Se oggi lei dovesse raccomandare a un neofita tre libri per avvicinarsi alla ricchezza e alla complessità di questo autore che ci accompagna da tanto tempo e ci accompagnerà ancora lungo, quali sarebbero questi titoli?
Tra i 164 titoli di Simenon che noi abbiamo pubblicato dall'ottantacinque ad oggi, i libri più venduti sono "Le finestre di fronte", "La camera azzurra" e "Tre camere a Manhattan": questi sono i più venduti e sono tre romanzi formidabili e molto diversi l'uno dall'altro. Uno dei miei preferiti è per esempio "I fantasmi del cappellaio", che io trovo un libro formidabile, e uno che abbiamo pubblicato un anno fa che si chiama "La mano" ma anche "Il piccolo libraio di Arkhangelsk" che io trovo veramente un libro molto bello... ma sono "La vedova Couderc" da cui è stato tratto un film con Alain Delon e Simone Signoret... "Il testamento Donadieu", che è il libro più balzacchiano di Simenon... però sì, appunto, "Le finestre di fronte" è un gran bel libro. "Tre camere a Manhattan" è un gran bel libro, "La camera azzurra" è un gran bel libro... però io consiglierei veramente "I fantasmi del cappellaio" da cui peraltro Chabrol ha tratto un magnifico film in cui la parte del piccolo sarto era interpretata da quel grande attore che è stato Charles Aznavour, che ha recitato anche con Truffaut... ma, insomma, questa è un'altra storia.
Ci consola sapere che ovunque si caschi, con Simenono si cade in piedi. Grazie mille, Ena Marchi, per averci restituito un po' dell'infinita ricchezza di Simenon. Arrivederci al prossimo Maigret o al prossimo "roman roman" e grazie!
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