A livello economico, l'industria della pornografia online resta un mistero.
Per quanto sia uno dei competitor nel mercato dell'attenzione che ha registrato incrementi notevoli prima e durante il lockdown, è praticamente impossibile ricavarne dimensioni, giro d'affari, redditività.
I dati sono inafferrabili, dissolti in modelli di business opachi il cui flusso non è tracciabile.
Alcune stime risalenti a cinque anni fa davano la "porn industry" pari a una cifra compresa fra la metà e qualcosa di superiore al fatturato di Netflix; un'altra ricerca accademica, datata e approssimativa, arriva ai 100 miliardi di dollari.
«Tutto falso o comunque non verificabile» taglia corto Shira Tarrant, autrice di The Pornography Industry, edito qualche anno fa dalla prestigiosa Oxford University Press. Anche François Léveque, professore di economia a Mines ParisTech e autore di una recente inchiesta apparsa nel 2021 su The Conversation è d'accordo: i dati sulla porn economy che circolano non sono per niente attendibili.
Ma per avere un ordine di grandezza del traffico su internet si può guardare ai dati di accesso e ai bilanci di MindGeek, la società canadese che gestisce PornHub e una galassia di siti a diffusione globale, in una dimensione praticamente monopolistica.
Pietro Adamo ricostruisce la storia dell'affermazione del porno di massa negli ultimi trent'anni, dei suoi rapporti con la cultura popolare e con le politiche di emancipazione e offre un esame di quei temi la psicologia della pornografia, la natura della liberazione, la violenza verso le donne - che maggiormente animano il dibattito contemporaneo.
PornHub oggi dichiara che dal 2013 il flusso dei suoi siti è triplicato.
Sono dati da prendere con le molle, perché come per Facebook e compagni, non sono certificati da un'autorità indipendente.
François Léveque li ha incrociati con i dati del traffico internet forniti da Ofcom, l'autorità garante delle telecomunicazioni del governo UK che ha sempre avuto fama di attendibilità.
Con le debite proporzioni, i contatti globali per visitatore unico nel 2020 dovrebbero essere nell'ordine dei 150 miliardi l'anno. Ed è dal profilo sociodemografico dell'utenza UK che arrivano i segnali più preoccupanti.
Secondo il report dell'Ofcom (Online Nation 2021) gli uomini sono i 4/5 dei consumatori; il traffico online della pornografia rappresenta almeno il 22% del flusso internet complessivo del Regno Unito; di questo, il 55% è riconducibile alla fascia d'età 18-24. L'accesso alla pornografia online è ovunque libero, praticamente gratuito e anonimo. La stratificazione sociale del pubblico inglese è molto simile a quella delle altre nazioni europee; dunque, è ragionevole aspettarsi che succeda così un po' in tutta Europa.
Tuttavia, MindGeek, per quanto monopolista del settore, non ha niente a vedere con i colossi della tecnologia: secondo il Financial Times nel 2018 il suo fatturato era di circa 500 milioni di dollari, con utili netti intorno ai 22 milioni di dollari. Se anche le cifre reali fossero superiori, a dispetto della marea di accessi la pornografia online sembra essere un'industria relativamente piccola: priva di pubblicità che conta, quella dei grandi brand, si regge in buona parte sul settore a pagamento che gira intorno al modello "Only Fan", dove i porno performer autoproducono i propri video e li vendono con varie formule di abbonamento dai quali PornHub ricava circa il 20%. Il modello di business è, insomma, un ibrido fra le piattaforme di streaming e i social network. Questo, a grandi tratti, è il modello economico-industriale.
Il risvolto inquietante è altrove: l’accelerazione dei consumi online di contenuti pornografici ha inevitabilmente accelerato la diffusione di modelli di comportamento sessuale e di pattern psicologici su una vasta platea di giovani, che si allarga agli adolescenti dai 12 anni in su. Ogni anno PornHub fornisce nuovi contenuti pari a un milione di ore-video; non solo è una porta spalancata alla dipendenza (cosa già registrata a livello di sanità pubblica come nuova sindrome in UK e US e confermata dalle scienze cognitive) ma sta diventando una sorta di «diseducazione sessuale» e sentimentale di massa. Se il riferimento a "come si fa sesso", soprattutto per chi muove i primi passi, sono i video porno, la questione si fa seria. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, il 25% dei giovani fra i 10 e i 18 anni frequenta almeno tre volte al mese i siti porno e il consumo è considerato "massive"; il modello di comportamento trasmesso è brutale e semplice: nessuna affettività, romanticismo o riferimento all'amore; assenza di preliminari; uomini dominanti, donne oggetto, con un sottofondo continuo di sottomissione e violenza. PornHub, inoltre, non ha praticamente moderatori o filtri e anche la recente condanna che ha forzato il sito a ripulirsi dai video con minorenni non ne ha compromesso la diffusione globale.
Senza moralismi, la filosofa Michela Marzano indaga le basi della rappresentazione del corpo umano e della sessualità, individuando nel rispetto del soggetto il nodo fondamentale della questione: se l'erotismo mette in scena il mistero del corpo e dell'incontro con l'altro, la pornografia riduce tutto a oggetto, confondendo dimensione inferiore ed esteriore e facendo scadere anche il desiderio alla dimensione del consumo.
Su un terreno contiguo si registra anche un costante incremento dell'ipersessualizzazione di una parte considerevole della pubblicità (fateci caso, pastasciutta compresa); o, per esempio, dei videoclip musicali e dei videogame, l'industria dell'entertainment che è cresciuta a livelli strabilianti durante la pandemia e che mette in scena sempre più "sesso esplicito" giocato in prima persona.
Il riverbero tra il porno e i contenuti dell'entertainment e della comunicazione diventa insomma ancora più pervasivo proprio tra giovani e adolescenti.
Sia come sia, sul versante sociologico i più ottimisti pensano che vadano fatte delle distinzioni, che ci sia un potenziale liberatorio (soprattutto per le comunità LGBTQ+) e che il porno non faccia danno, così come le sparatorie nei videogiochi esorcizzano la violenza.
Ma il paragone, per molti ricercatori, non è coerente, come sottolineano i primi studi avviati sulla questione.
La mente adolescente, costantemente online, e sempre più precoce nello sbocciare della pubertà, cerca nella rete "come comportarsi nella vita reale", calandosi in identità fittizie o comunque alterate; i modelli proposti dal porno sono evidenti e non sappiamo se e quanto possa diffondersi una sorta di dissonanza cognitiva proprio su un terreno così delicato come la formazione della sessualità e dell'affettività.
Per dirla in sintesi, i ragazzi pensano che il sesso sia quello che si vede nei porno, che si faccia così; e le ragazze pensano che ai ragazzi piaccia il sesso fatto così. Non c'è bisogno di aggiungere altro per immaginarne le conseguenze, anche solo a medio termine.
Ciò che le prime ricerche stanno evidenziando è che il porno-proibizionismo in famiglia, a meno che non si condivida con convinzione una fede religiosa, non funziona. Che si dovrebbe parlarne a scuola, e che uno dei metodi più efficaci sarebbe quello di commentare i video porno, in diretta, con ragazzi e ragazze e che questo dovrebbe far parte di un'educazione sessuale e sentimentale sempre invocata e mai messa in pratica nelle scuole del mondo, a parte nella cultura scandinava.
Oltre alla crisi climatica, la generazione Z potrebbe dover affrontare una nuova ed inedita "catastrofe" dell'affettività, dei sentimenti e della sessualità: come abbiamo visto, sta già fermentando con un certo vigore, e il porno con i suoi 150 miliardi di accessi annui, perfettamente integrati nei consumi online, gioca un ruolo per nulla trascurabile.
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