“Voglio una vita, spericolata, come quella di… Keith Richards siii”.
Vasco non ce ne voglia (e nemmeno Steve McQueen), ma sarebbe davvero bello se il signor Rossi modificasse il testo della sua celeberrima hit per festeggiare come si conviene uno tra i più spericolati e irregolari chitarristi che la storia del rock ricordi nel giorno del suo ottantesimo genetliaco.
Altro che pensione, altro che umarell, altro che partite a ramino per questo ex ragazzaccio nato sotto le bombe naziste il 18 dicembre del 1943, nel paludoso e proletario sobborgo londinese di Dartford. Siamo di fronte a un non pensionato più unico che raro. Un’icona nel vero senso della parola, come del resto lo sono e sempre lo saranno tutti i Rolling Stones, il suo gruppo dai primissimi anni Sessanta, e i suoi inconfondibili e taglienti riff alla chitarra elettrica. In fondo, non stiamo parlando del “gran maestro dei riff”? Attenzione: qui non si esagera.
“Keff”, come lo chiamavano in famiglia, voleva essere il miglior bluesman d’Inghilterra (si narra che conobbe e diventò amico di Mick Jagger per la comune passione per Chuck Berry) e invece è diventato rockstar suo malgrado. E a furor di popolo. D’altronde quando scrivi poco più che ventenne capolavori indelebili come (I Can't Get No) Satisfaction (inserita nell’album Aftermath, 1966), piuttosto che Simpathy for the Devil, Jumpin’ Jack Flash, Street Fighting Man (tutte e tre da Beggars Banquet, 1968), dove tutto s’incastrava magicamente alla perfezione, non c’è altro da fare che inchinarsi.
Registrato in California (RCA Studios), è il loro primo disco in “true stereo”, è uno dei primi LP pop a superare la barriera dei 50 minuti di durata e contiene una composizione (la blues jam Goin’ Home) che dura più di 10 minuti. Un album contraddistinto dal guitar work di Brian Jones e dall’impeccabile song-writing del duo Jagger–Richards.
Un rocker dinosauro - in sé e per sé un vero e proprio ossimoro – che da nonno continua imperterrito a far musica senza mai guardarsi indietro (la critica non ha lesinato elogi per Hackney Diamonds, primo disco di inediti della band inglese dal 2005), pulito e sobrio come non lo è mai stato sinora. Sì, mister Richards ne ha combinate di tutti i colori, come ben documentato dalla sua tutt’altro che reticente biografia Life, ma ora è tutta un’altra storia.
«Ho smesso con le sigarette nel 2019, con l’eroina nel 1978 e con la cocaina nel 2006. L’unico vizio che mi è rimasto è concedermi qualche bicchierino», ha ironizzato qualche mese fa. Di guai nelle sue tre vite («Ho dormito per anni solo due volte la settimana, per cui sono stato cosciente non meno di tre vite intere», dixit), Keith ne ha passati parecchi tra scandali assortiti, accuse di traffico di droga e arresti e processi a go-go, da una parte all’altra dell’Atlantico.
La sua è stata un’esistenza sempre sull’orlo del baratro. Dalla metà degli anni Settanta in avanti New Musical Express, il celeberrimo settimanale musicale britannico, la indicò per dieci anni consecutivi come la rockstar più candidata alla morte. E vogliamo parlare della leggenda secondo la quale volò in Svizzera per ripulirsi cambiando tutto il sangue? «Sciocchezze», ha tagliato corto il diretto interessato. Precisando: «Attribuisco la mia sopravvivenza alla qualità elevata delle droghe che ho consumato. In più ero molto meticoloso nella quantità…». Perché se Richards esagerava, Anita Pallenberg, la bellissima modella-attrice italo-tedesca con cui visse una tormentata storia d’amore e con cui fece tre figli (il secondo maschio morì in culla dopo due mesi dalla nascita), al confronto esagerava ancora di più facendo un uso incontrollato di tutto lo scibile delle droghe a disposizione.
Beggars Banquet è l’album dei ROLLING STONES pubblicato nel dicembre 1968, il primo prodotto da Jimmy Miller; considerato uno dei più innovativi lavori degli anni ‘60, contiene due delle canzoni più provocatorie del gruppo, Street Fighting Man e Sympathy For The Devil. Jimmy Miller in cabina di regia riporta la band alle radici blues e allo sviluppo di un suono radicale.
Eppure, nonostante la frequentazione costante con gli stupefacenti («Non volevo fare la star e la droga era la mia evasione preferita»), il ragazzo cresciuto a pane, rock’n’roll e blues, assieme all’amico e poi socio di banda, Mick Jagger, ha dato vita a una fabbrica delle canzoni perfetta. «Ho riempito spazi che aspettavano di essere riempiti. Il mio lavoro? Occupare i buchi», ha scherzato una volta. Sta di fatto che per un bel po’, tra gli anni Sessanta e Settanta, sembrava che le canzoni grondassero dalle dita mentre ci dava dentro con la sua chitarra elettrica preferita, quella a cinque corde.
«Scrivere canzoni», ha ricordato Richards, «è come tendere le corde del cuore il più possibile, senza provocare l’infarto». Di sicuro gli Stones, con la loro capacità innata di avere un’antenna maledettamente potente in grado di captare le canzoni che erano nell’aria, hanno toccato il cuore di milioni di persone. Persone che hanno capito che per il “signore dei riff” («Lo spunto per le canzoni era quasi sempre mio, poi interveniva Mick che faceva il lavoro sporco con i testi»), quello che è sempre contato, più del successo e l’adulazione, è la passione inesauribile per la musica.
Il 20 ottobre 2023, a 18 anni di distanza dall’ultimo album di inediti, verrà pubblicato “Hackney Diamonds”, il nuovo album dei The Rolling Stones. Una band che non ha bisogno di presentazioni, se non quella di Jimmy Fallon, avvenuta allo storico Hackney Empire di Londra con cui la band britannica ha annunciato lo storico e attesissimo nuovo album di inediti.
Ecco, Keith Richards è stato ed è un musicista puro. Certo, se l’è goduta e continua a godersela come meglio può in compagnia dei suoi eterni compagni di gioco e della sua unica moglie, l’ex modella Patti Hansen, la madre delle altre due sue figlie (sembra incredibile, ma stanno insieme da 40 anni!), tuttavia la sua storia con l’inseparabile chitarra ritmica continuerà all’infinito, «Fino a quando non tiro le cuoia», assicura. E se lo dice lui, cuore di bluesman ribelle, c’è da credergli.
Ah, dimenticavamo: come la mettiamo con i Beatles e l’eterno derby tra i due più grandi gruppi della storia del rock? Alla storia degli Stones diavolo e Beatles acqua santa non ci crede più nessuno. «Siamo stati le due facce della bellezza», è stato detto. Indovinate da chi? Un aiuto? Un certo Keith…
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