In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero
Inizia così lo scontro tra Filippo Tommaso Marinetti e il latino, quel classico imbecille che ha testa, ventre, gambe e piedi piatti, ma non due ali per volare. E allora chiudere i ponti con il passato, distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, diventa scopo e sostanza delle parole del Manifesto tecnico della letteratura futurista, pubblicato l’11 maggio 1912.
Amante della velocità e del movimento, Marinetti compone il suo Manifesto osservando e ascoltando l’elica turbinante di un aereo, mentre vola sopra Milano. E in questo dialogo aperto con l’elica e il suo turbinare, vengono fissate le nuove regole della lingua. Regole, se così si possono chiamare. Taf taf.
La sintassi scompare nella nuova disposizione dei sostantivi, organizzati come nascono, in balia del movimento della creatività. Il verbo è sempre all’infinito, così da adattarsi elasticamente al sostantivo e non sottostare all’io dello scrittore che, con la sua osservazione e immaginazione, potrebbe facilmente plasmarlo. Rientra tutto nel movimento fluido e nella continuità della vita che l’infinito, proprio perché non finito, riesce a trasmettere.
Gli aggettivi sono banditi. Perché? Sono sfumature di colore e nella velocità le sfumature non si percepiscono, impongono una sosta. Non sono ammesse meditazioni, nemmeno sulle similitudini. Il come, il quale, il simile a, vengono oltrepassati: l’oggetto è fuso con l’immagine che evoca. Così, dall’alto della velocità aerea, si può scorgere l’immagine con un’unica parola essenziale. Perché è così che funziona il Futurismo, osservare le cose dall’alto e in movimento.
La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità
È a questo che punta Marinetti: velocità per cogliere l’essenzialità. Continuità che si oppone agli avverbi, aggettivi, congiunzioni, persino alla punteggiatura che ucciderebbe la vitalità di uno stile che senza sosta si crea e si disfà da sé. Zang Tumb Tumb!
Il Futurismo è lo stile del maximum di disordine. Ogni organizzazione è, infatti, un prodotto dell’intelligenza che porta al centro della letteratura l’io, severamente bandito e allontanato dal Futurismo. La psicologia, l’uomo intriso di logica e saggezza non interessano più, vanno lasciate ai fisici e ai chimici. Nessuno di loro sarà in grado di cogliere la materia, da prendere nella sua essenza a colpi di intuizione. I futuristi, invece, sì.
E se la psicologia umana è roba passata, vietato è anche prestare alla materia i sentimenti umani. Quello di Marinetti è piuttosto un invito a indovinare i suoi impulsi direttivi, le sue forze di compressione, dilatazione, coesione e disgregazione. La materia non è umanizzata. È il danzare del cinematografo che ammalia i futuristi, l’agitarsi della tastiera di un pianoforte meccanico. Tutti movimenti della materia che sono fuori dalle leggi dell’intelligenza.
Ma se nella letteratura va eliminato tutto ciò, cosa rimane? Un inseguimento vacuo della velocità? In questa corsa dietro alla continuità della materia, il Futurismo inserisce il rumore, il peso e l’odore, elementi finora trascurati. Al fragore di urlare la tua voce…
Fino a questo momento la materia è stata contemplata da un io distratto, freddo, un io che ha saputo dar voce a se stesso, ma non al dinamismo degli oggetti, alla loro facoltà di volo e di sparpagliamento. Questo sono rumore, peso e odore. Sono la manifestazione del coraggio, della volontà e della forza assoluta di una materia che non è né triste né lieta. Tristi o lieti sono gli uomini.
In questa raccolta sono riportati i più importanti scritti del grande letterato futurista che all'inizio del XX secolo diede un forte impulso al rinnovamento e al capovolgimento culturale in Italia e in Europa. Esaltando il progresso, la velocità, il futuro, la forza e la potenza, criticando i retaggi di una cultura ormai obsoleta e defunta, Marinetti stila gli elementi di base del Futurismo, corrente di pensiero che invade tutti gli aspetti dei sensi, della vita e dell'arte.
Se oggi il Futurismo non è più la scelta prediletta da chi scrive, disegna, crea, sappiamo che ha avuto influenze non solo in letteratura, ma anche in arte. Nasce in Italia, è vero, ma fa da esempio a numerosi movimenti affini in Europa, Russia, Francia, Stati Uniti e Asia.
I futuristi esplorarono tutti i tipi di arte: dalla pittura alla fotografia, dalla letteratura alla musica. Fra il 1910 e il 1912, Francesco Balilla Pratella pubblicò 3 manifesti specifici per la rivoluzione musicale, pronti a calarsi nella Musica futurista per orchestra: leggi l'approfondimento sulla musica futurista nell'articolo che Wuz le ha dedicato. Stimolati dalla guerra, dalla trasformazione dei popoli e dalle nuove scoperte tecnologiche, i vari campi artistici sono influenzati dalla nuova percezione delle distanze e del tempo. Sono gli anni di Boccioni e di Balla, del superamento del cubismo e della sintesi sintetica del moto. Sono opere dalla grande e immediata capacità espressiva.
E se in letteratura già tutto sembrava quasi spezzettato, non connesso, ma fluido, anche in arte si predilige il mosaico, che con le sue tessere è riuscito a esprimere al meglio la nuova mentalità futurista. Trampolini, Severini, pochi nomi che hanno saputo esprimere ciò che Marinetti aveva scritto nel suo Manifesto.
L'arte, questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell'infinito dello spazio e del tempo
Futurismo è anche nuova architettura, musica diversa. Una corrente artistico-letteraria che ha spaziato negli ambiti più disparati, seguendo il fluire della vita, delle intuizioni, del movimento.
Futurismo è stato, comunque, soprattutto letteratura. Marinetti, Palazzeschi, Soffici, Buzzi. E se oggi il periodo latino, pretenzioso e miope, è tornato sforzandosi di domare la vita multiforme e misteriosa della materia, gli insegnamenti di Marinetti non sono andati perduti. Hanno forse seguito il fluire continuo delle intuizioni, hanno perseguito il dinamismo o hanno compreso che nell’immaginazione senza fili e senza soste, bisogna sempre prendere fiato. Respirare non dimenticando chi ha coraggiosamente fatto il brutto in letteratura, ma ripescando anche chi nella libertà di lettere e parole ha saputo mettere ordine al maximum disordine.
Al "Codice di Perelà", «favola aerea», «punto più elevato» della sua fantasia, Palazzeschi fu fedele per tutta la vita. Ne ha lasciate infatti ben cinque redazioni, che corrispondono a rivisitazioni e rielaborazioni legate a diversi momenti della sua carriera di scrittore. "Il Codice di Perelà" viene qui proposto secondo il testo della prima edizione, del 1911, definito fin dalla copertina come «romanzo futurista
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