Anniversari e Ricorrenze

Marinetti e il Futurismo: il Manifesto 

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2022, studentessa del Liceo Artistico A. Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2022, studentessa del Liceo Artistico A. Volta di Pavia

In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero

Filippo Tommaso Marinetti

Inizia così lo scontro tra Filippo Tommaso Marinetti e il latino, quel classico imbecille che ha testa, ventre, gambe e piedi piatti, ma non due ali per volare. E allora chiudere i ponti con il passato, distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, diventa scopo e sostanza delle parole del Manifesto tecnico della letteratura futurista, pubblicato l’11 maggio 1912.

Amante della velocità e del movimento, Marinetti compone il suo Manifesto osservando e ascoltando l’elica turbinante di un aereo, mentre vola sopra Milano. E in questo dialogo aperto con l’elica e il suo turbinare, vengono fissate le nuove regole della lingua. Regole, se così si possono chiamare. Taf taf.

La sintassi scompare nella nuova disposizione dei sostantivi, organizzati come nascono, in balia del movimento della creatività. Il verbo è sempre all’infinito, così da adattarsi elasticamente al sostantivo e non sottostare all’io dello scrittore che, con la sua osservazione e immaginazione, potrebbe facilmente plasmarlo. Rientra tutto nel movimento fluido e nella continuità della vita che l’infinito, proprio perché non finito, riesce a trasmettere.

Gli aggettivi sono banditi. Perché? Sono sfumature di colore e nella velocità le sfumature non si percepiscono, impongono una sosta. Non sono ammesse meditazioni, nemmeno sulle similitudini. Il come, il quale, il simile a, vengono oltrepassati: l’oggetto è fuso con l’immagine che evoca. Così, dall’alto della velocità aerea, si può scorgere l’immagine con un’unica parola essenziale. Perché è così che funziona il Futurismo, osservare le cose dall’alto e in movimento.

La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità

Filippo Tommaso Marinetti

È a questo che punta Marinetti: velocità per cogliere l’essenzialità. Continuità che si oppone agli avverbi, aggettivi, congiunzioni, persino alla punteggiatura che ucciderebbe la vitalità di uno stile che senza sosta si crea e si disfà da sé. Zang Tumb Tumb!

Il Futurismo è lo stile del maximum di disordine. Ogni organizzazione è, infatti, un prodotto dell’intelligenza che porta al centro della letteratura l’io, severamente bandito e allontanato dal Futurismo. La psicologia, l’uomo intriso di logica e saggezza non interessano più, vanno lasciate ai fisici e ai chimici. Nessuno di loro sarà in grado di cogliere la materia, da prendere nella sua essenza a colpi di intuizione. I futuristi, invece, sì. 

E se la psicologia umana è roba passata, vietato è anche prestare alla materia i sentimenti umani. Quello di Marinetti è piuttosto un invito a indovinare i suoi impulsi direttivi, le sue forze di compressione, dilatazione, coesione e disgregazione. La materia non è umanizzata. È il danzare del cinematografo che ammalia i futuristi, l’agitarsi della tastiera di un pianoforte meccanico. Tutti movimenti della materia che sono fuori dalle leggi dell’intelligenza.

Ma se nella letteratura va eliminato tutto ciò, cosa rimane? Un inseguimento vacuo della velocità? In questa corsa dietro alla continuità della materia, il Futurismo inserisce il rumore, il peso e l’odore, elementi finora trascurati. Al fragore di urlare la tua voce…

Fino a questo momento la materia è stata contemplata da un io distratto, freddo, un io che ha saputo dar voce a se stesso, ma non al dinamismo degli oggetti, alla loro facoltà di volo e di sparpagliamento. Questo sono rumore, peso e odore. Sono la manifestazione del coraggio, della volontà e della forza assoluta di una materia che non è né triste né lieta. Tristi o lieti sono gli uomini.

Copertina de La Rivista. Archivio Fondazione Feltrinelli.

Il Manifesto del Futurismo e altri scritti
Il Manifesto del Futurismo e altri scritti Di Filippo Tommaso Marinetti;

In questa raccolta sono riportati i più importanti scritti del grande letterato futurista che all'inizio del XX secolo diede un forte impulso al rinnovamento e al capovolgimento culturale in Italia e in Europa. Esaltando il progresso, la velocità, il futuro, la forza e la potenza, criticando i retaggi di una cultura ormai obsoleta e defunta, Marinetti stila gli elementi di base del Futurismo, corrente di pensiero che invade tutti gli aspetti dei sensi, della vita e dell'arte.

Se oggi il Futurismo non è più la scelta prediletta da chi scrive, disegna, crea, sappiamo che ha avuto influenze non solo in letteratura, ma anche in arte. Nasce in Italia, è vero, ma fa da esempio a numerosi movimenti affini in Europa, Russia, Francia, Stati Uniti e Asia. 

I futuristi esplorarono tutti i tipi di arte: dalla pittura alla fotografia, dalla letteratura alla musica. Fra il 1910 e il 1912, Francesco Balilla Pratella pubblicò 3 manifesti specifici per la rivoluzione musicale, pronti a calarsi nella Musica futurista per orchestra: leggi l'approfondimento sulla musica futurista nell'articolo che Wuz le ha dedicato. Stimolati dalla guerra, dalla trasformazione dei popoli e dalle nuove scoperte tecnologiche, i vari campi artistici sono influenzati dalla nuova percezione delle distanze e del tempo. Sono gli anni di Boccioni e di Balla, del superamento del cubismo e della sintesi sintetica del moto. Sono opere dalla grande e immediata capacità espressiva

E se in letteratura già tutto sembrava quasi spezzettato, non connesso, ma fluido, anche in arte si predilige il mosaico, che con le sue tessere è riuscito a esprimere al meglio la nuova mentalità futurista. Trampolini, Severini, pochi nomi che hanno saputo esprimere ciò che Marinetti aveva scritto nel suo Manifesto. 

Copertina de La Rivista. Archivio Fondazione Feltrinelli.

L'arte, questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell'infinito dello spazio e del tempo

Filippo Tommaso Marinetti

Futurismo è anche nuova architettura, musica diversa. Una corrente artistico-letteraria che ha spaziato negli ambiti più disparati, seguendo il fluire della vita, delle intuizioni, del movimento.

Futurismo è stato, comunque, soprattutto letteratura. Marinetti, Palazzeschi, Soffici, Buzzi. E se oggi il periodo latino, pretenzioso e miope, è tornato sforzandosi di domare la vita multiforme e misteriosa della materia, gli insegnamenti di Marinetti non sono andati perduti. Hanno forse seguito il fluire continuo delle intuizioni, hanno perseguito il dinamismo o hanno compreso che nell’immaginazione senza fili e senza soste, bisogna sempre prendere fiato. Respirare non dimenticando chi ha coraggiosamente fatto il brutto in letteratura, ma ripescando anche chi nella libertà di lettere e parole ha saputo mettere ordine al maximum disordine.

Il codice di Perelà. Romanzo futurista (Edizione 1911)

Al "Codice di Perelà", «favola aerea», «punto più elevato» della sua fantasia, Palazzeschi fu fedele per tutta la vita. Ne ha lasciate infatti ben cinque redazioni, che corrispondono a rivisitazioni e rielaborazioni legate a diversi momenti della sua carriera di scrittore. "Il Codice di Perelà" viene qui proposto secondo il testo della prima edizione, del 1911, definito fin dalla copertina come «romanzo futurista

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(Alessandria d’Egitto 1876 - Bellagio, Como, 1944) scrittore italiano. Poeta, romanziere, fondatore del futurismo, trascorse la sua giovinezza a Parigi, dove pubblicò le sue prime opere, scritte in francese: I vecchi marinai (Les vieux marins, 1897), La conquista delle stelle (La conquête des étoiles, 1902), Distruzione (Destruction, 1904), Re Baldoria (Le roi Bombance, 1905), satira contro la democrazia. Sul «Figaro» del 20 febbraio 1909 pubblicò il primo manifesto del futurismo, che si scaglia contro i valori tradizionali, esaltando il dinamismo della vita moderna, i miti della macchina e della guerra, la violenza come affermazione di individualità. Nel successivo Manifesto della letteratura futurista (1910) teorizzò poetiche e mezzi espressivi adeguati a rendere la dinamica della sensazione, del movimento, della materia, tramite lo scardinamento della sintassi e della punteggiatura, le parole in libertà e i caratteri di stampa disposti in maniere suggestive e inusitate. Le applicazioni più dirette di questo programma sono il romanzo Mafarka il futurista (1910) e, per la poesia, Zang Tumb Tumb. Adrianopoli, ottobre 1912 (1914), descrizione fonosimbolica di un episodio della guerra d’Africa. Ispirò e redasse altri manifesti, come Teatro di varietà (1913), Teatro sintetico (1915), Guerra sola igiene del mondo (1915). Il suo nazionalismo e il suo bellicismo lo portarono a esaltare l’impresa libica (La battaglia di Tripoli, 1912), poi l’intervento nella prima guerra mondiale, infine la dittatura fascista, da cui ricevette onori e cariche ufficiali. Nel 1929 divenne accademico d’Italia.Più teorico che artista, M. ottenne interessanti risultati nella produzione giovanile, dove, nonostante tutto, appare legato a una poetica simbolista e decadente. Ma anche in opere più tarde si mostrò capace di recepire e manipolare suggestioni diverse: Spagna veloce e toro surrealista (1931) è un divertissement che riprende l’écriture automatique dei surrealisti; i testi autobiografici La grande Milano tradizionale e futurista e Una sensibilità italiana nata in Egitto (postumi, 1969) riecheggiano toni liberty; il romanzo Gli indomabili (1922) e Il fascino dell’Egitto (1933) non sono estranei all’influsso della «Ronda» e della prosa d’arte. Comunque M. fu soprattutto un abile organizzatore culturale, sensibile ai nuovi rapporti con il pubblico nati con i mass-media; grazie alla sua scrittura lucida e aggressiva i «manifesti» assunsero dignità di generi letterari.

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