Avete mai pensato al paradosso?
La nostra faccia è ciò che ci definisce di fronte al resto del mondo, ma noi - che ne siamo portatori per tutta la vita - siamo destinati a non poterla vedere mai, se non riflessa in uno specchio o in una fotografia.
In quei pochi centimetri compresi fra gli occhi, il naso e la bocca, si disegna una gran parte della nostra storia di esseri umani.
"Dopo una certa età, ottieni la faccia che meriti", sosteneva un'attrice di successo negli anni Ottanta del Novecento.
Giusto. Ma a chi appartiene davvero una faccia?
Di qui a qualche mese, può essere che uno sconosciuto vi rubi uno scatto col cellulare per strada, o al ristorante: e che da quello scatto, in pochi secondi, ricavi il vostro nome, il vostro indirizzo, e l'accesso a tutti i vostri social. Questo perché avrà scaricato la app dell'oscura startup, Clearview AI, di cui in questa magistrale indagine – che è anche, inevitabilmente, un magistrale thriller – Kashmir Hill ricostruisce la storia.
La domanda merita una riflessione non superficiale.
La faccia è uno deli ultimi territori di resistenza dell'umano, uno spazio intimo e privato sul quale oggi si concentrano le mire rapaci di una classe di tecno-capitalisti senza freni, ben decisi a contendersi i lineamenti di ciascuno di noi per rivenderli al migliore offerente.
Non ci credete? allora fate un viaggio nel futuro che ci aspetta attraverso questo straordinario reportage.
La tua faccia ci appartiene (pubblicato da Chiarelettere nell'ottima traduzione di Vittoria Parodi) è il risultato di un'indagine durata tre anni, nel corso della quale la reporter e columnist del New York Times Kashmir Hill ha seguito da vicino la vicenda di Clearview AI (dove "AI" sta - ovviamente - per "Intelligenza Artificiale").
È, questa, una società che ha perfezionato un potente algoritmo per il riconoscimento facciale che - se da un punto di vista puramente tecnologico è un exploit formidabile - rappresenta una nuova frontiera di erosione della privacy che potrebbe cambiare il concetto di "pubblico" e quelli di "privato" nel modo in cui li abbiamo sempre immaginati.
Dando in pasto all'algoritmo miliardi di fotografie disseminate su internet, l'applicazione elaborata da Clearview AI attinge a un database sconfinato le variabili che gli consentono di associare in un tempo praticamente istantaneo un nome a ogni faccia che gli venga sottoposta.
L'applicazione negli Stati Uniti è già in uso presso diversi dipartimenti di polizia, e viene usata a scopo di sicurezza… ma si sa: il diavolo fa le pentole e non i coperchi.
E troppo forte potrebbe essere la tentazione di usare un simile prodigio per profilare -ad esempio - le nostre abitudini di consumo nel momento in cui entriamo in un negozio e il nostro viso viene ripreso dalle telecamere di sicurezza.
Oppure, in associazione alle nuove tecnologie wearable come gli occhiali e i visori collegati a internet, il riconoscimento facciale potrebbe consentire a chiunque abbia accesso alla giusta applicazione di conoscere un sacco di informazioni che si vorrebbero riservate a proposito della persona che ha di fronte. Nome, indirizzo, numero di telefono… Qualcuno ha detto "stalker"?
O ancora, in uno scenario che appare distopico ma che in alcuni paesi del mondo potrebbe già essere realtà, immaginiamo le possibilità di controllo e repressione cui uno strumento del genere garantirebbe l'accesso a un regime dittatoriale…
Insomma, c'è di che avere paura. E l'indagine che Hill consegna oggi nelle nostre mani è un pezzo di grande giornalismo, che nel tracciare un affresco sconcertante del tempo in cui viviamo a causa della nostra compromissione con un'idea di tecnica sempre più lontana dall'etica, ci ricorda quanto la curiosità umana sia il motore insostituibile e primo di ogni storia ben raccontata.
Buona lettura, e buona visione!
Si ringraziano Sonia Folin, interprete e traduttrice, e Tommaso Gobbi, Ufficio Stampa Chiarelettere.
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