Arrivi e partenze

Dimmi che Porno guardi e ti dirò chi sei

Al mondo ci sono due tipi di persone: c’è chi ammette di guardare porno. E poi c’è chi mente.
Si scherza, naturalmente. Ma durante il lockdown seguito alla pandemia di Covid, nel 2020, in un periodo nel quale le relazioni interpersonali andavano rarefacendosi e la solitudine assumeva una nuova dimensione esistenziale, Polly Barton ha deciso di prendere sul serio l’argomento “pornografia”, intuendo come dietro alle reticenze della maggior parte delle persone si celi una dimensione che merita di essere indagata e raccontata.
Il risultato dell’indagine di Barton è un saggio che, attraverso diciannove conversazioni con altrettante persone sul tema della pornografia, arriva a individuare aspetti importanti di parole e concetti come “consenso” e “sex positivity”. Sempre partendo da un approccio risolutamente femminista.

Il punto di partenza di Porno. Una storia orale (La Tartaruga) è la povertà della narrazione dominante sul cosiddetto porno mainstream, nonostante la grande diffusione che questo genere di pornografia ha assunto negli ultimi anni anche grazie a internet e alle nuove modalità di fruizione. È stata questa presa di coscienza a spingere Barton ad affrontare l’argomento con amici e amiche.
Parlando senza tabù del porno, ma soprattutto del rapporto che molti intrattengono con questa dimensione dell’uso che ne facciamo e delle sensazioni che ne derivano.

Porno. Una storia orale
Porno. Una storia orale Di Polly Barton;

Per capire l’effetto del porno nelle nostre vite, dovremmo innanzitutto parlarne. Ma parlarne in maniera aperta e onesta è complicato, perché mette in gioco stereotipi sessuali, aspettative sociali e rivela una vita intima di cui non sempre ci sentiamo sicuri.

Sarebbe stato più facile parlare con degli sconosciuti della loro esperienza col porno, ma sento che molte cose sarebbero rimaste nascoste, o piuttosto che io sarei stata solo un intervistatore su un piedistallo. Mentre quello che volevo veramente, perché in parte il libro doveva essere un'esplorazione anche del mio imbarazzo e delle mie difficoltà nei confronti del porno, era che le conversazioni fossero reciproche

Il saggio prende forza anche da una particolare sensibilità culturale di Barton, in parte imputabile al suo aver vissuto in Giappone (non a caso l’autrice è anche traduttrice letteraria dal giapponese). Il diverso approccio degli altri paesi alla pornografia le ha fornito un raffronto utilissimo per capire quanto il nostro atteggiamento verso questa sfera sia plasmato da fattori culturali, politici e religiosi propri della società in cui viviamo.

Nel caso dell’Inghilterra - ma potremmo estendere l’osservazione a tutti i paesi particolarmente “occidentalizzati” - la fruizione della pornografia da parte degli utenti è spesso solitaria e “compartimentata”, come se renderne più esplicito e condiviso l’utilizzo potesse essere fonte obbligata di vergogna e imbarazzo. L’avvento di internet avrebbe potuto rappresentare un passo in avanti verso un’espressione più libera, ma questo non è accaduto.

Non sono sicura che il nostro rapporto col porno sia emotivamente cambiato, è come se la vergogna, l’imbarazzo e il senso di colpa siano ancora lì, se non altro perché sono stati realizzati sempre più compartimenti, il che rende sicuramente più facile per le persone guardare il porno senza dover essere interrotti o parlare con qualcuno. È come se questo silenzio incoraggiasse soltanto una maggiore vergogna.

L’altra faccia della medaglia di ciò che il porno rappresenta coinvolge il tema del consenso e della sex positivity, che in questo ambito è spesso oggetto di contraddizione.
Da una parte, infatti, l’espressione della sessualità è sicuramente più libera e coinvolge le donne quanto gli uomini, dall’altra è come se in virtù di questa possibilità, ogni donna dovesse necessariamente essere a proprio agio con questa espressione di “pubblica” sessualità, generando una forte pressione psicologica e sociale che ovviamente finisce per ingenerare disagio.

Ancora una volta, sono le donne a reggere il peso di questo malinteso concetto di consenso, come se non fosse banale specificare che una donna possa godere o non godere del porno, possa esprimere o non esprimere liberamente la propria sessualità.

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