Quando comincia a raccontare della sua nuova avventura editoriale, il sorriso di Matteo Codignola è quello di chi ne ha viste tante.
Non c'è stanchezza o disillusione, però.
Al contrario: Codignola sorride con entusiasmo sornione, mentre racconta di Orville Press, pregustando la faccia che farà chiunque ami i libri fatti bene nel momento in cui si imbatterà in questi "manufatti alieni": alieni per la qualità eccezionale profusa in un progetto che ha pochi riscontri, oggi, nel panorama editoriale.
Sarà perché i due titoli coi quali questa nuova sigla si presenta ai suoi lettori sono un efficace precipitato dell'idea che sottende il progetto, sarà perché veder maturare nel mondo il frutto di tanta fatica è sempre fonte di grande soddisfazione, fatto sta che Codignola ci conquista con il racconto di quel che ha significato lavorare all'ideazione e alla realizzazione di Orville fino ad oggi. A partire dal nome scelto.
Già. Orville: chi era costui? (spoiler alert: Manzoni non c'entra, Carneade nemmeno).
Ma Codignola, nell'intervista che vi proponiamo, racconta con dovizia di particolari com'è arrivato a scegliere questo nome e nel frattempo offre numerosi spunti di riflessione su quel che ciascun passaggio della filiera richiede, in termini di attenzione e sensibilità, quando si dà vita a una nuova casa editrice.
Comincia con un incidente questa storia sull'amore e le sue conseguenze, non importa se comiche o strazianti, fra le più brusche e per fortuna meno ortodosse di questi anni
Il primo libro di cui parliamo è Box Hill di Adam Mars-Jones, una storia d'amore fra un biker "molto figo" e un ragazzo un po' nerd, una storia che Codignola descrive come "un amore raccontato come va raccontato, con estrema franchezza, senza giri di parole e senza le innumerevoli fregnacce che circondano in modo particolare i racconti di amori omosessuali". La cornice ideologica è talmente forte - suggerisce il nostro - che spesso si dimenticano i fatti: fatti che fra le pagine di Box Hill assumono invece un'evidenza particolare proprio in virtù del modo liscio col quale sono esposti, senza pruderie o ammiccamenti.
una cosa che mi sta molto a cuore è l'uso che verrà fatto di questi libri: il fatto cioè di pubblicare delle cose utili
Secondo libro - non in ordine di importanza, ça va sans dire - è La tempesta è qui, di Luke Mogelson, cronista di punta del New York Times.
Uno straordinario reportage narrativo dal cuore dell'America profonda, compiuto con una "cassetta degli attrezzi" che è quella propria al repertorio dei grandi giornalisti. Mogelson ha sentito spirare un vento nuovo, sinistro e inquietante, nel suo Paese.
Allora ha calzato le scarpe comode di cui ogni buon cronista dev'essere dotato, ha messo nello zaino i suoi taccuini e si è messo in viaggio verso il cuore nero della destra altright americana. Il suo viaggio l'ha condotto dalla bottega di Karl Manke - barbiere NoMask assurto al ruolo di guru della destra più complottarda e reazionaria – fino al cuore di quell'attacco alla democrazia che è stato sventato il 6 gennaio 2021 dentro il Campidoglio saccheggiato.
Luke Mogelson, uno dei grandi reporter dell'ultima generazione, ha intrapreso un viaggio che da Owosso, in Michigan lo ha portato fin dentro il Campidoglio saccheggiato, il 6 gennaio 2021
Due libri lontanissimi, per certi versi, ma accomunati da una profonda sensibilità verso quei modi di raccontare che mirano a trascendere i confini (spesso fittizi) imposti dalle regole editoriali a "saggistica" e a "narrativa": in quella fertilissima terra di nessuno, Codignola individua il territorio d'elezione per compiere un'indagine approfondita su quel che oggi è giusto chiedere ai libri.
L'indagine è stata appena aperta, ma fin da adesso possiamo dire che ci aspettano libri interessanti, nei prossimi tempi.
Benvenuta, Orville Press!
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