Pinar Selek è una donna che non fugge.
Da 25 anni, Selek è perseguitata in Turchia a causa del suo appoggio alla causa curda, che le è costato un iter giudiziario lunghissimo e viziato da innumerevoli strumentalizzazioni.
Dopo aver ottenuto quattro assoluzioni, lo scorso 6 gennaio le è stata notificata in Francia, paese nel quale vive in esilio da vent'anni, la condanna definitiva all'ergastolo per terrorismo. Su di lei pende un mandato di arresto internazionale a causa del ruolo che avrebbe avuto nell'organizzare un attentato agli inizi degli anni Duemila.
Selek a quell'epoca era una promettente e giovane sociologa, spesso in viaggio nel Kurdistan per motivi di studio.
In seguito all'esplosione di una bomba in una rivenditoria di kebab al mercato delle spezie di Istanbul, fu incarcerata e torturata.
Un testimone aveva indicato in lei la responsabile dell'esplosione del 9 luglio 1998. "L'accusatore - avrebbe in seguito raccontato Selek - ha ritrattato e gli esperti hanno dimostrato che l'esplosione era stata accidentale. La nuova decisione della Corte suprema turca non ha fondamento. È una sentenza politica". Poco dopo la promulgazione della sentenza, il terremoto più devastante che abbia colpito quella regione ha imposto al Paese un costo talmente alto che ancora oggi stentiamo a comprendere interamente le dimensioni distruttive.
Abbiamo raggiunto al telefono Selek - i cui libri in Italia sono pubblicati da Fandango, che vogliamo ringraziare per l'opportunità dataci di intervistare l'autrice - nella sua casa per chiederle in che modo questa emergenza potrebbe far sentire i suoi effetti su un quadro politico e sociale già instabile, mentre le elezioni che potrebbero riconfermare il "sultano" Erdogan al potere si avvicinano. Ecco la nostra intervista.
In che modo il terremoto ha influito sul quadro politico turco?
Possiamo dire che il governo turco, durante il terremoto che ha sconvolto il paese è rimasto saldamente ancorato alla terra.
Questo terremoto è stato tragico. Ma il governo è attaccatissimo al potere e, anche se si parlava di elezioni, non era certo che queste si sarebbero potute tenere…
Avevo scritto un articolo qualche giorno prima degli assassinii di Parigi (il massacro del 23 dicembre 2022 al Centre démocratique kurde (CDK) Ahmet Kaya di Parigi, nel quale sono stati assassinati Mir Perwer, Emine Kara e Abdullah Kizil – attivisti/e kurdi/e e la Kara, un’eroina della lotta armata contro lo Stato Islamico/Daesh - NdR), un articolo su Mediapart, e sostenevo che bisognava essere pronti a degli attentati, dei massacri organizzati dal governo che ha bisogno di una politica del caos per poter restare in carica.
Certo il governo non si aspettava un simile cataclisma, proteso com’era a cercare di capire come conservare il proprio potere.
E quella che è accaduta è una tragedia tanto grande che nemmeno le manipolazioni funzionano più.
Le dimensioni del disastro si fanno più chiare di giorno in giorno e il governo è ferito, ha paura. Dunque, è ancor più pericoloso.
Dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza il governo, approfittando della situazione, ha emanato proclami, vietando che venga fatta propaganda politica nei prossimi tempi. Ma la gente non fa propaganda, si chiede semplicemente “Dov’è il governo, in questo momento?”.
In più, le reti mobili sono tagliate e non c’è internet in molte zone del Paese. Non è possibile sapere quel che accade veramente.
Il libro comincia con la denuncia del colpo di Stato del 1980 e descrive personaggi assetati di libertà e giustizia sociale, tentati dal terrorismo o spinti all'esilio. È una fiaba rosa dove le donne, romantiche e appassionate, prendono tutte in mano il loro destino mandando in frantumi i nostri pregiudizi.
C’è più di una linea di faglia che attraversa la Turchia, oggi. Oltre a essere sulla placca tettonica che ha provocato il sisma, il Paese si trova sulla linea che separa l’Europa dalla sfera di influenza esercitata dalla Russia di Vladimir Putin. Erdogan sta cercando di ritagliarsi uno spazio giocando su due tavoli. Cosa pensi potrebbe accadere, nei prossimi tempi ?
Non si tratta solo di Erdogan: è proprio la Turchia in quanto Stato, che ha una grande esperienza in fatto di diplomazia, da molto tempo.
È un repertorio politico, dunque, che la Turchia ha ereditato e che la rende molto abile nel gioco degli scacchi.
Ovviamente il Governo può vendere alla Russia cose di cui non siamo a conoscenza – personalmente ne sono persuasa – e può firmare accordi senza che lo si sappia in giro perché la Russia la aiuti.
Anche la Russia è in crisi, ovviamente, e può approfittare della crisi Turca.
È il caso di aver paura, perché è Putin che ha salvato Erdogan quando c’è stato il tentativo di colpo di Stato, qualche anno fa, forzando la Turchia verso un cambio di orientamento nelle alleanze internazionali.
Si è avvicinato all’Iran, è diventato amico di Assad e ha abbandonato i gruppi islamisti che precedentemente aveva sostenuto contro di lui.
È per questo che l’ambasciatore russo è stato assassinato ad Ankara da un gruppo islamista. I russi manipolano la situazione in Turchia, sostenendo i Lupi Grigi, la Destra più estrema, cioè, assieme a Erdogan e a un’altra figura di nazional-socialista che si chiama Dogu Perinçek.
“Se mi domandano come sto, rispondo che resisto, che ho imparato a giocare con questi venti che all’inizio mi hanno depistata. Ma che non posso avviarmi verso il luogo di cui parlo, il paese che mi manca.”
A che punto è l'eredità di Ataturk, nel Paese? La laicità dello Stato è ancora garantita o è in pericolo?
Quello di Ataturk è un lascito molto complicato: non è una vera eredità, e per questo è molto fragile.
In Turchia non c’è davvero laicità, come per esempio avviene in Francia, perché la costruzione della nazione turca è avvenuta seguendo il filo conduttore dell’Islam.
Dopo il genocidio degli armeni, c'è stata una sorta di "pulizia" del terreno da tutto ciò che non era musulmano - greci, eccetera - e hanno accolto comunità "islamizzate" - facendole venire dai balcani, per esempio - seguendo lo slogan secondo il quale è "felice chi può dire 'Sono turco!'". Ma i curdi, per esempio, hanno detto: "... ma noi non siamo turchi. Noi siamo curdi!". "Ma no, voi siete musulmani, quindi siete turchi!", è stata la risposta dello Stato.
Per gli armeni hanno fatto una legge sulla "minoranza religiosa", ma solo per loro. Tutti gli altri popoli sono stati attirati nell'orbita dell'Islam. Tutto questo, però, non è iniziato con Erdogan: tutto questo viene da lontano.
In quanto scrittrice, pensi che la letteratura possa avere un ruolo nella lotta politica?
Certamente.
Attenzione: la letteratura, per me, non serve a trasmettere messaggi.
Il reale costruito dagli umani è sporco: è segnato dal male, da quella che Hannah Arendt chiamava “La banalità del male”, perché è un male radicato ed è divenuto ordinario procedendo di pari passo con quella che chiamiamo “civilizzazione”: la schiavitù, la colonizzazione, il capitalismo...
La poesia è la nostra unica forma di resistenza. Quando si crea poesia, quando si fa musica, quando si dipinge, quando in generale di fa arte, si compie un atto creativo che è di per sé una forma di resistenza. Quando io scrivo - quando scrivo una poesia - è lì che comincio a pensare che le cose non debbano andare necessariamente nel modo in cui vanno. Quando comincio a scrivere, ecco che in me sorge subito un pensiero: sì, è possibile.
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