La vita intima di Niccolò Ammaniti ha vinto il Premio Letterario Viareggio Rèpaci per la narrativa.
Vi riproponiamo l'intervista realizzata con l'autore in occasione dell'uscita del romanzo.
Niccolò Ammaniti, si sa, non ama le interviste.
Quando lo scrittore si accomoda sulla nostra poltrona per dare il via all'intervista che ci ha accordato in occasione dell'uscita del nuovo libro, la sua espressione - fino a un momento prima sorridente, affabile e giocosa - subisce un sottile cambiamento.
È uno scarto appena percettibile ad uno sguardo poco attento: eppure, qualcosa dice che in lui un interruttore è scattato.
È come se i suoi nervi fossero tesi a percepire qualsiasi movimento sospetto, qualsiasi cosa possa entrare in modo invadente in uno spazio che - lo si capisce - lui considera intimo: quello nel quale il narratore interroga sé stesso e le sue storie, i suoi personaggi e i suoi demoni. Che a volte possono coincidere.
Mi è capitato nella mia vita di incontrare donne così belle che facevo fatica a formulare dei pensieri. Di fronte a quella bellezza sentivo che non riuscivo ad essere completamente me stesso e allora ho pensato a quel che queste donne debbono provare. Ho voluto raccontare una settimana nella vita di una donna molto bella.
Intimità: una parola che oggi è facile fraintendere.
Ecco perché La vita intima è un titolo che non andrebbe preso alla leggera, e che può rivelarci qualcosa di colui che l'ha scelto fra mille altri titoli possibili per un romanzo ampio, stratificato, potente com'è quello di cui parleremo assieme a lui.
Non è sesso.
Non solo, cioè: benché il sesso non manchi, fra le quattrocento pagine nelle quali faremo conoscenza di Maria Cristina Palma e dei suoi comprimari (alcuni dei quali sono così ben tratteggiati che altri scrittori sarebbero stati tentati di farne i protagonisti di romanzi a sé stanti), quell'intimità allude a una dimensione ancor più privata e inattingibile. Qualcosa che ha a che fare con lo scarto fra ciò che il mondo vede in noi - la donna più bella del mondo, come nel caso di Maria Cristina, o un grande scrittore, in quello di Ammaniti - e il modo in cui ci rappresentiamo a noi stessi.
Due disegni i cui contorni è impossibile far coincidere perfettamente.
Da quella mancata coincidenza, nascono i problemi. O le storie.
Quella raccontata ne La vita intima è una storia completamente nelle corde del nostro scrittore, al punto che potremmo dire che "Ammaniti è tornato"... non fosse che lui non è mai davvero andato via.
Negli otto anni che sono passati dalla pubblicazione del suo romanzo precedente, infatti, l'autore ha fatto tante cose, scrivendo e girando due serie TV che hanno dimostrato come le doti di narratore non siano confinate esclusivamente all'editoria libraria.
Ma torniamo al romanzo (di cui qui trovate la nostra recensione!).
E parliamo di Maria Cristina Palma, che una rivista ha incoronato "donna più bella del mondo", che è sposata con il presidente del Consiglio italiano, che ha una figlia da un precedente matrimonio, che - soprattutto - si sente destinata a essere incompresa. Peggio: fraintesa.
La seguiamo lungo una settimana della sua vita, una settimana nel corso della quale una sorta di "enzima" riemerso dal suo passato farà precipitare gli elementi in sospensione nella sua vita, dando la schiusa a un'apertura che potrebbe finalmente liberarla come pure distruggere quel che resta di lei.
Di più non diremo, non sarebbe giusto: basti sapere che il romanzo è ricchissimo di invenzioni, costellato da dialoghi veloci, credibili e divertenti ma anche da riflessioni e appunti sulla società in cui viviamo che non suonano mai come le stucchevoli lezioni che - in mani meno abili di quelle di Ammaniti - potrebbero facilmente diventare. Social media manager che decidono le sorti di un Paese, massaggiatrici spietate, temutissime intervistatrici televisive e parrucchiere dal tocco mistico... c'è di tutto, e il tanto che non c'è vive in filigrana attraverso quel che noi lettori riusciamo a immaginare fra una pagina e l'altra.
Non è forse il segno, questo, della eccezionale bravura di Ammaniti?
La sua è una scrittura selvaggia, potente, che ha trovato il suo sweet spot nella tensione fra un controllo formale ormai maturo e la capacità di lasciare che la storia assorba fino in fondo gli umori (spesso uno humour nero) dei quali è nutrita. E noi non possiamo far altro che leggere con gratitudine per il puro piacere che ci procura seguire la storia e familiarizzare coi personaggi che popolano questo feroce teatro di carta. Fino alla fine, fino alle estreme conseguenze.
Così, quando è lo stesso narratore a rivolgersi a noi lettori, rompendo la quarta parete e domandandoci se lo stiamo ancora seguendo nella storia che ci sta raccontando, accogliamo quell'eccezione (è la prima volta che Ammaniti "entra" direttamente in una delle sue storie) come un piccolo dono, come la possibilità che ci è offerta di entrare per un attimo in uno spazio intimo di relazione con colui che ha orchestrato questo gioco per noi.
È quel che è avvenuto nel corso della nostra intervista: un'intervista che - com'era per la sua Maria Cristina - Niccolò avrebbe forse fatto a meno di fare.
E che, proprio come lei, alla fine forse non sarà poi così pentito di aver fatto.
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