È mai stato chiesto se quelli che corrompono i propri corpi nascondono se stessi?
E se quanti contaminano i viventi sono malvagi come quelli che contaminano i morti?
E se il corpo non agisce pienamente come fa l’anima?
E se il corpo non fosse l’anima, l’anima cosa sarebbe?
Chissà se Walt Whitman, quando scriveva la sua I sing the body electric, avrebbe potuto immaginare quale frontiera politica il corpo sarebbe diventato nella nascente società capitalistica?
Il selvaggio cantore di Foglie d'erba, certamente, coi suoi versi rivendicava la sua indipendenza da un sistema disumanizzante che - seppure a quell'epoca fosse ancora una macchina in rodaggio, per così dire - già mostrava tutta la sua protervia.
Nei versi di Whitman si avverte già potente il disincanto: ma oggi assistiamo a una colonizzazione dei corpi che ha subito una drammatica accelerazione, anche a causa delle nuove forme di schiavitù incentivate dall'avvento del digitale e dalla cosiddetta "gig economy", quell'economia nella quale prosperano in pochissimi, arricchendosi su un precariato che tiene moltissimi in uno stato di subordinazione e mascherandone la rapacità feroce dietro una retorica edificante che si appella alla "libertà di scelta".
"Schiavitù" può sembrare una parola forte, è vero: ma leggendo il libro di Pazé, e traendone le appropriate conclusioni, vien da pensare che la "libertà di scelta" cui si appellano molti "facili profeti" altro non sia che la più infida delle mistificazioni. Non può esserci vera libertà in un contesto che vizia all'origine le condizioni alle quali è dato esercitarla, la libertà. Ecco perché è importante - sostiene Pazé - tornare a Marx e alla sua analisi, che non ha perso un grammo della sua efficacia, al netto di qualche necessario aggiornamento.
Ecco perché riconoscere che il corpo è un territorio conteso, e che la lotta per difenderlo è politica, è un primo passo indispensabile per spezzare questo cortocircuito.
Buon ascolto e buona visione a tutti!
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