Amore come forza motrice e purificatrice. Amore disperato e sublimato. Amore struggente e indissolubilmente legato alla morte, eros e thanatos. Tematica perenne e ispiratrice della letteratura fin dall’antichità, spesso banalizzata o sminuita da stereotipi culturali e topoi favolistici. Alberto Moravia, in una recensione del 1970 a Zabriskie Point, proponeva la sua interpretazione del finale dell’opera di Antonioni proprio con una riflessione sull’amore: “Ma cos’è l’amore se non la vita stessa nella sua forma originaria?”
Vita e società, dunque: l’amor che move il sole e l’altre stelle, riverberato non solo sulla singolarità ma anche sulla comunità, forza che muove i costrutti, le logiche emotive e le esperienze della società del nostro tempo. Stretto tra la rappresentazione di un immaginario romantico e fasullo e la considerazione cinica e sprezzante riservatagli dalla società dei consumi, è ora di tornare a parlare dell’amore lodandone il potenziale catartico.
Nel suo ultimo saggio, Il capitale amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario, edito da Bompiani, Jennifer Guerra trae spunto dal case study del film Pretty Woman per scardinare alcuni luoghi comuni legati all’amore come faccenda pubblica, proseguendo con lucidità la sua indagine necessaria e dirompente su un sentimento complesso, socialmente e culturalmente sfaccettato. Un sentimento che l’autrice, scrittrice, giornalista e femminista classe 1995 definisce un atto politico e rivoluzionario.
Mentre il nostro immaginario è infarcito di amore - una versione romantica e fasulla, veicolata da romanzi, film e pubblicità -, la nostra società si comporta come un amante dal cuore spezzato: è cinica e sprezzante nei confronti dell'amore, considerato un sentimento stupido.
L'INTERVISTA
Ciao, Jennifer. Cominceremmo la nostra conversazione partendo proprio da quegli “atti di resistenza” della società di fronte all’amore inteso come sentimento politico e rivoluzionario…
Io credo che la qualità politica e rivoluzionaria dell’amore stia nell'amore stesso.
L'amore è nella sua essenza "incontro con l'altro", che è sempre una relazione di tipo politico, perché amare ci insegna a prenderci cura dei bisogni dell'altro anche se questi bisogni sono molto diversi dai nostri. Sono proprio la pratica quotidiana dell'amore e il riconoscimento di questa alterità a rendere l'amore politico e rivoluzionario. Non parlerei però di "gesti" in particolare: sono convinta che sia la quotidianità dell'amore a insegnare la resistenza che ostacola l'individualismo imperante.
Credi che la compenetrazione fra pubblico e privato nelle logiche emotive possa essere conseguenza indiretta del movimento femminista e del suo slogan “Il personale è politico” - concetto al quale hai dedicato anche il primo capitolo del tuo esordio?
Io credo che quella tra privato e pubblico sia una falsa frontiera che noi ci imponiamo pensando che l'amore sia uno spazio sacro che si salva in qualche modo dall'ingerenza del mondo esterno. Il femminismo ci ha insegnato a riconoscere questa barriera e ad abbatterla proprio perché parte dall'importanza del privato per dimostrare come qualsiasi nostra azione, posizionamento o idea sia profondamente condizionata da ciò che ci circonda. È un condizionamento duplice nel senso che sia il mondo esterno influenza noi, sia noi influenziamo il mondo esterno, un rapporto bidirezionale tra elemento politico e soggettività.
Per molto tempo la cura della relazione è stata un lusso riservato alle classi più abbienti, dotate di mezzi e tempo materiale da dedicarvi. Oggi, alla base del successo degli speed dating e di altri fenomeni in cui l’ottimizzazione del tempo è esasperata, c’è la cronofagia tipica della contemporaneità…
Sì, assolutamente. La questione del tempo nell'amore è fondamentale e noi ci ritroviamo ad avere sempre meno tempo e a essere costretti a incastrare anche l’amore nella frenesia delle nostre giornate. E questo non vale soltanto per chi l’amore ce l’ha già e vi dedica la parte residuale della propria giornata; ma anche per chi lo sta cercando. Questi mezzi, come le dating app, sono la via più efficiente (magari non efficace) per trovare l'amore e si inseriscono perfettamente nel principio di prestazione di Marcuse, per cui la produttività dell’amore prevale su autenticità e gratuità.
Secondo bell hooks, le menzogne nelle relazioni sono conseguenza di una cultura assolutoria che ci allontana dalle nostre effettive responsabilità, convincendoci che l'amore sia qualcosa di incontrollabile. Come pensi si possa superare questa deresponsabilizzazione senza arrivare a razionalizzare troppo questo sentimento?
L'amore è anche un'azione, non soltanto un sentimento: se ci convinciamo che non abbiamo nessun controllo sulle azioni che compiamo in nome dell'amore, allora lì arriva la deresponsabilizzazione. Un esempio che fa Bell Hooks è quello del tradimento: anche in questo caso, è necessario riconoscere il peso etico e la responsabilità delle proprie scelte. Se poniamo l’amore esclusivamente nell'universo dell'irrazionalità, non saremo mai in grado di riconoscere questa responsabilità perché ci sarà sempre una bella differenza tra sentimento e azione e, soprattutto, rispetto alle conseguenze che queste azioni hanno sugli altri.
Parliamo di libri: il mondo editoriale, forse, deve ancora superare un certo snobismo verso le opere che fanno del tema romantico il proprio fulcro… sei d’accordo?
Credo che anche questa sia un po’ una falsa frontiera. L'amore è l'elemento centrale della maggior parte della nostra produzione culturale. Più che riuscire a includere la letteratura romantica conferendole uno status, bisognerebbe fare l'operazione inversa: riconoscere e valorizzare l'elemento romantico già presente nella nostra cultura e dare dignità e importanza all'amore all'interno della cultura stessa.
Emozioni effimere e sentimenti duraturi: una premessa che rievoca un autore al quale Il capitale amoroso deve molto, Erich Fromm, convinto che l'amore non sia solo un sentimento ma anche un’azione. Come recuperare la dimensione attiva e poietica del sentimento romantico?
Io sono molto fiduciosa rispetto alla possibilità di lavorare su sé stessi e migliorarsi, abbandonando quella cultura assolutoria di cui abbiamo parlato. Nel momento in cui sono totalmente succube e passivo riguardo alle emozioni che provo, vuol dire che non sto lavorando su me stesso e resto semplicemente passivo rispetto a ciò che mi accade. L’amore, invece, ha una componente attiva e la domanda da porsi, la stessa che si pone anche Fromm, non è “Perché nessuno mi ama?” ma “Perché io non amo abbastanza?” oppure “Cosa faccio io per amare gli altri?”. È necessario uscire da questa logica secondo cui l'amore è soltanto qualcosa che si riceve e bisogna riflettere su cosa noi facciamo realmente per amare e per metterci a disposizione degli altri.
Fin quando saremo schiavi delle nostre emozioni e incapaci di controllare i sentimenti, saremo anche indifferenti di fronte alle conseguenze che la nostra interiorità ha sugli altri e non potremo mai mettere in pratica la parte attiva dell'amore.
Il corpo elettrico mette al suo centro il ruolo del corpo femminile nella società contemporanea. Abbiamo bisogno di recuperare i vecchi concetti femministi e riadattarli al nuovo millennio: il personale che è politico, l’auto-coscienza, la sorellanza. Al centro, il corpo ribelle e desiderante.
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