Aspra o boscosa, scoscesa o degradante, cupa o solare: tanti sono i modi per rappresentare la montagna, così come tanti sono i modi per raccontarla.
Spesso abbandonata dagli umani, gli animali se ne sono riappropriati in modo rapido e massiccio. Qualcuno rimane, qualcuno torna ad abitarla cercando serenità, isolamento, pace. Ma trovando anche fatica, difficoltà, povertà.
È questo che si comunica mettendo la montagna in copertina? Luoghi selvaggi, natura severa, ostacoli continui che rappresentano una storia densa di disagi? Fitte foreste, pareti a picco, massicci impenetrabili che testimoniano una natura selvaggia che sarà protagonista di un romanzo “estremo”?
Al centro di un’isola o tra le Alpi, in piena luce o immersa tra nebbie e nuvole, la montagna ci guarda, ci domina dall’alto anche in copertina, ci dice quanto sia imponente, potente, inarrestabile quando decide di travolgerci. Ma al tempo stesso ci offre i suoi pendii come un piccolo paradiso verde dove ritrovare la quiete.
La troviamo sempre più sovente a rappresentare romanzi a lei dedicati o a simboleggiare la difficoltà di vivere. La troviamo al centro di biografie dove l’uomo diventa roccia, scalando così tante volte le sue pareti da trasformarsi in essa, o simbolo dell’umanità stessa, quando la linea delle creste assume l’aspetto di un volto, di un profilo.
Sta a noi scegliere quale di queste rappresentazioni sono più consone al nostro gusto di lettore.
Anche se è vero in ogni caso che una montagna in copertina attrae, cattura, incuriosisce quasi sempre. Ed è già il primo passo verso la lettura dell’opera.
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