Sono racconti di montagna, di caccia, in cui la montagna cura le ferite: questo è un grande mito che per la prima volta entra nella letteratura italiana
Quando capita di sentire parlare Paolo Cognetti, un'improvvisa calma inizia a pervaderci. Sarà il suo tono di voce, la sua semplicità disarmante, una particolare capacità affabulatoria che ti cattura, o le storie di cui parla, ma sentiamo i muscoli rilassarsi, il cuore farsi più leggero e rallentare.
Quando è venuto a trovarci per parlare del suo ultimo libro, La felicità del lupo, abbiamo colto l'occasione di farci raccontare anche quale fosse il suo libro cult. Cognetti ha deciso di parlarci di una raccolta di racconti di Mario Rigoni Stern, Il bosco degli urogalli, di cui lui stesso è stato curatore nell'edizione Einaudi uscita quest'anno.
La scelta non stupisce. Mario Rigoni Stern, oltre ad aver scritto Il sergente nella neve, vincitore del premio Strega nel 1953 e considerato uno dei più intensi memoriali della seconda guerra mondiale, è stato, insieme a Dino Buzzati, il primo scrittore italiano capace di mostrarci la meraviglia della montagna e di assegnarle il ruolo che ricopre nel nostro immaginario collettivo.
Il bosco degli urogalli narra di villaggi chiusi nell'inverno con il grato fuoco delle cucine, della solitudine delle albe per i sentieri delle montagne, dei silenzi che riempiono i boschi, attraverso un linguaggio lirico e allo stesso tempo semplice che restituisce al lettore i paesaggi fraterni e familiari del «sergente Rigoni Stern».
Questi dodici racconti di Mario Rigoni Stern sono un inno alla vita del bosco e alla natura in cui l'uomo si inserisce come un intruso e a cui deve sempre rispetto, nonché alla capacità di trovare nel rapporto con la montagna un nuovo scopo.
Rigoni Stern ci porta con una prosa lenta e cadenzata, quasi lo seguissimo passo dopo passo su un sentiero di montagna, tra urogalli e pernici bianche come la neve, battute di caccia lente e dall'esito incerto, percorsi tortuosi fatti di rocce e fango, aria tersa, camini accesi, neve accecante, fatica e sacrificio, silenzio e spazi aperti. In questo libro, come anche in altre sue opere, ha avuto l'abilità di mostrarci un mondo che noi quasi non conosciamo più, fatto di rispetto, di regole, di semplicità e fermezza, di onestà e di amore per gli animali e la natura.
Uno dei primi lettori entusiasti fu Primo Levi, che scrisse una lettera a Mario Rigoni Stern complimentandosi per questo libro che aveva amato molto e questa lettera inaugurò una grande amicizia tra loro, in nome della memoria, dell'etica civile e dell'amore per la montagna
Per conoscere meglio Mario Rigoni Stern, potete leggere il nostro approfondimento scritto in occasione dei cento anni dalla nascita.
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