Go electric, my son

Ce n’erano di argomenti, ieri: l’orso assassino nei boschi trentini, i “soliti” morti nel mare nostrum, qualche soldato ucraino decapitato ed esibito da russi, le nomine di chi governerà la nostra politica energetica…. Tutte cose che, personalmente, mi lasciano senza fiato, ma anche senza voglia di dire niente.

E così, visto che però bisogna scrivere qualcosa sul diario di bordo, mi sono soffermato su un grande titolo dell’edizione on line del New York Times, che annunciava nientemeno che la rivoluzione dell’industria automobilistica, ovvero di quella cosa con cui abbiamo convissuto da quando abbiamo memoria.

E dunque: il governo degli Stati Uniti ha stabilito che, per combattere il cambiamento climatico, per il 2032 – leggi: domani – due terzi delle automobili circolanti nel paese, e un quarto dei camion, dovranno essere elettrici.

Voi direte: ma come fanno ad imporlo? Ed in effetti, è un’indicazione più che un voto, ma è abbastanza solida, tanta da far dichiarare al NYT che questa decisione equivale all’annuncio che fece Henry Ford, un po’ più di un centinaio di anni fa: “Signori, ho inventato un modo di trasportare merci ed esseri umani in grado di sostituire la carrozza trainata da cavalli”.

L’argomento non è nuovo, ma certo stupisce che Joe Biden, il presidente anziano che ha annunciato di correre di nuovo, abbia deciso di mettere la firma su una decisione così epocale. Un po’ come dire: go electric, my son, and grow with the country.

A me, che sono nato a Torino, la Detroit italiana, 76 anni fa, che sono cresciuto tra presse e carburatori, elettrauto e carrozzieri, spinterogeni e radiatori, scioperi e utopie, rate e concessionari, olio incombusto e smog, amori sul  sedile posteriore… questa dichiarazione americana della fine dell’industria automobilistica, per come l’abbiamo conosciuta e amata, subita, odiata -  fa un certo effetto.

Riusciremo a sopravvivere?