Giovedì 6 aprile 2023
Quando la baronessa Margaret Thatcher (1925 – 2013) morì, dieci anni fa, in realtà era già morta da tempo.
Il morbo di Alzheimer e una serie di piccoli infarti le avevano tolto la memoria a breve termine. La perdita del potere, tredici anni prima, aveva peraltro concluso la sua traiettoria.
Ai suoi funerali solenni, tutti lodarono la sua attitudine al comando, la sua ostinazione, la sua “visione”, spesso anche il suo coraggio… nessuno però lodò le sue qualità umane.
Non era amata, e non voleva farsi amare, qualità rara per una persona che diventa un leader politico.
Nessuno ora la prende a modello, ma nel suo decennio migliore, dal 1979 al 1990, Margaret Thatcher fu davvero regina e “thatcheriano” divenne sinonimo di un comportamento e di uno stile.
Gli esordi vedono una ragazza figlia di un droghiere autodidatta della cittadina di Grantham, nelle Midlands, che ha talento e ambizioni. Arriva nella privilegiata Oxford, dove si laurea in chimica, si iscrive al circolo conservatore, impara a parlare con il birignao delle classi alte (con risultati tragici), sposa un ricco industriale, diventa avvocato e fa la sua prima comparsa nel governo, dimenticabile, di Edward Heath, come ministro del welfare: per limitare la spesa pubblica, decide di sospendere la fornitura del latte gratuita nelle scuole elementari, che era stata una delle grandi conquiste dei laburisti dopo la seconda guerra mondiale (da cui gli inglesi erano usciti vittoriosi, ma poverissimi).
“Maggie the milk snatcher”, Maggie la ladra di latte, non è il tipo che si lascia commuovere quando legge Dickens, e anzi se c’è una cosa che le dà fastidio sono i poveri, la loro petulanza, i loro sindacati, il loro spreco di risorse, la loro pretesa di chiudere bottega alle cinque di sera, i loro scioperi, le loro pensioni, i loro weekend, le loro birre al pub.
Tutte cose che Thatcher prende come offese personali e dunque, in nome di una immaginaria Inghilterra degli onesti lavoratori – in omaggio a suo padre, cui è devota – si ribella e trova una sponda dall’altra parte dell’oceano, dove Ronald Reagan dice le stesse cose. Basta con il governo che deve prendersi cura di tutto, spazio ai privati, agli “animal spirits” del capitalismo, basta con i lacci e i lacciuoli che frenano il merito e il talento. A Margaret piace la guerra e la trova: affronta i minatori del sindacato marxista e li sconfigge dopo un anno di lotta. Affronta l’IRA irlandese (che le mette una bomba nel bagno) e lascia morire, senza una lacrima dieci detenuti in sciopero della fame, privatizza tutto quello che è possibile, trasforma Londra in una ambigua – molto ambigua - capitale finanziaria e immobiliare e ha due colpi di fortuna: viene scoperto un enorme giacimento di petrolio nel mare del nord e i dittatori argentini pensano di occupare due isolette ghiacciate, le Falkland, di antica proprietà coloniale inglese.
Con questi due assist, la figlia del droghiere diventa Regina: la Royal Fleet attraverserà il mondo per riconquistare i suoi possedimenti.
E paladina della democrazia, perché, con l’aiuto della dittatura cilena, farà cadere la dittatura argentina.
Questa congiuntura le fece vincere le elezioni in una Gran Bretagna diventata egoista, imperialista, militarista. Ma quando poi Thatcher, dopo aver regalato il suo paese ai ricchi, cercò di imporre anche la “poll tax” (un’antesignana della flat tax di oggi) ci fu una rivolta tra gli stessi conservatori che la mandarono via senza tanti complimenti. Una famosa fotografia la vede uscire da Downing Street con il volto rigato di lacrime.
Fu un personaggio del passato, rese l’Inghilterra peggiore, incoraggiando la middle class all’egoismo e alimentando uno spirito antieuropeo che sfocerà nella Brexit.
Ebbe però uno sprazzo da statista internazionale quando introdusse Gorbaciov in Occidente, ma fu quasi per caso; le sue teorie economiche per fortuna morirono con lei.
Oggi nessuno le applicherebbe più, perlomeno in una democrazia.
Ma ebbe anche grandi meriti: provocò la nascita della buona letteratura, della buona musica, del buon cinema… Jonathan Coe, Ken Loach, i Pink Floyd, gli U2, Robert Harris, John Le Carré, J.K.Rowling...
E fece rivivere sé stessa – agghiacciante – con la magnifica interpretazione di Gillian Anderson, nella quarta stagione di “The Crown”.
Purtroppo, però i segni del disastro da lei provocato sono ancora ben visibili, cicatrici nel tessuto sociale della Gran Bretagna di oggi.
Di
| Feltrinelli, 2014Di
| Mondadori, 2019Potrebbero interessarti anche
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