La redazione segnala

Don Milani e la necessità di riscoprirlo oggi

Illustrazione digitale di Ilaria Coppola, 2023, studentessa alla Facoltà di Comunicazione all'Università di Parma 

Illustrazione digitale di Ilaria Coppola, 2023, studentessa alla Facoltà di Comunicazione all'Università di Parma 

Qualche mese fa, non ricordo precisamente come, sono venuto a sapere che a maggio sarebbe stato l’anniversario di Don Lorenzo Milani.
Del famosissimo Don Milani ne avevo certamente sentito parlare, come non sentirne parlare d’altronde se si intraprende un percorso di cultura radicale indirizzato ai ragazzi, ai bambini e le bambine, se si parla di scuola o di cultura critica per l’infanzia?
Prima o poi Don Milani spunta fuori, qualcuno dice qualcosa e insomma ti arriva all’orecchio questo nome.

Io però con i “Don”, e cioè con i preti, non ho mai avuto grande simpatia. Ma nemmeno troppa antipatia, il giusto direi (il giusto secondo me eh).
La retorica dei “preti partigiani” mi ha stufato da tempo e non posso nascondere una certa antipatia per tutto ciò che ha a che fare con la religione e in particolare con la chiesa e il mondo cattolico. Insomma, sì, sono ateo convinto e i troppi soprusi che quotidianamente commette la chiesa, nel tempo ha creato in me un muro con tutto quel mondo e anche una difficoltà a comprendere chi è veramente credente come possa aderire a tutto ciò.
Questo ha comportato che, preso da mille cose e avendo a che fare con la precarietà (che ti succhia il tempo) abbia smesso di preoccuparmene (di religione e cose simili), evitando di averci a che fare, disinteressandomi a tutto ciò che rimanda a quel mondo, confinandolo mentalmente tra le cose che esistono e tocca sopportare ma se posso evitare di averci a che fare meglio.

Insomma, dicevo prima di perdermi, che qualche mese fa vengo a sapere che a maggio sarebbe stato il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani e da bottegaio editore penso che forse varrebbe la pena fare qualcosa.
Si sa che a ogni ricorrenza il mondo editoriale cerca di cavalcarla producendo decine di libri e ripubblicando le opere degli autori in questione, quindi ho pensato: in questa roba Momo Edizioni cosa può fare di diverso? Magari un libro radicale su Don Milani, un libro che non c’è e si concentra su aspetti diversi rispetto agli altri.
Ho pensato di sentire una bravissima autrice, Vanessa Roghi, che ha preso la cosa con grande entusiasmo e a breve usciremo con Mia patria sono gli oppressi in tutte le librerie (piccolo spazio pubblicità!) e recensito qui.

Mia patria sono gli oppressi. Don Milani, la scuola, la guerra

Questo libro racconta la storia di Don Milani ed è un omaggio al suo rischiare in prima persona, al suo non tirarsi indietro mai quando in gioco ci sono l’ingiustizia, l’oppressione, la violenza. «Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri». Età di lettura: da 6 anni.

Ma devo confessare (questa è una cosa proprio da religiosi) che ciò che mi ha mosso in partenza è stato un bieco interesse commerciale di cui, ahimè, ci tocca tener conto. Poi però è arrivato il libro di Vanessa e leggendolo mi sono sentito un imbecille.

Cosa mi sono perso fino adesso?
Leggevo e mi rendevo conto di aver fatto l’errore più brutto, più ignorante, più ingiustificabile di tutti: quello di essermi accontentato dei miei pregiudizi e non aver mai voluto approfondire per conto mio. Mi ero perso la potenza, l’incredibile forza rivoluzionaria di Lorenzo Milani solo perché mi ero fatto bloccare da quel “Don” che me lo rendeva antipatico.
Si può essere più stupidi? A voler essere antireligioso alla fine ho fatto la cosa più da religiosi che c’è, quella di aderire a qualcosa senza averla verificata.
Mi sono scapicollato quindi su Lettera a una professoressa e l’ho letto in un tempo brevissimo.
Scemo scemo scemo!
Questa roba dovevi leggerla anni fa! Quando ne hai sentito parlare la prima volta, ho pensato tutto il tempo.

Mentre leggevo cresceva dentro me il fomento, sentivo di leggere cose che avevo sempre pensato fin da quando andavo a scuola e avevo tenuto dentro. Qualcuno a tutte quelle cose che sentivo aveva dato un corpo, aveva dato delle parole e l’aveva fatte diventare una visione non solo di scuola ma di società.
Ma che c’entro io, cresciuto negli anni 90’ in Sabina, con un ragazzo cresciuto negli anni 60’ a Barbiana?

Non lo so cosa c’entro, ma io a scuola stavo male.
Non sopportavo l’autorità e questa cosa uscì in più di qualche colloquio con i genitori: «suo figlio non ha rispetto dell’autorità».
Mi faceva stare male dover chiedere di andare in bagno, mi faceva stare male dover ripetere a pappagallo e vedere persone che imparavano a memoria le frasi da ripetere per strappare un 7 di storia.
Stavo male a vedere loro e a vedere i prof che seguivano questi idioti programmi.
A volte mi chiudevo nel bagno e cercavo di farmi passare gli attacchi di rabbia, poi tornavo in classe a dovevo sentirmi quell’idiota di storia dell’arte che mi diceva di pettinarmi meglio prima di venire a scuola e avevo solo voglia di prenderla e tirarla giù dalla finestra o tirarmici io.

La vivevo così eppure andavo bene, facevo le cose stupide che mi chiedevano di fare e mi consentivano di prendere quel voto e poi pensavo a tutt’altro.
Dalle elementari a fine superiori trovai solo un paio di insegnanti diversi, che dei voti se ne fregavano e che furono quelli che facevano trasparire e intuire che la scuola poteva essere veramente tutt’altro. Uno era un prof di italiano, non cito il nome ma di italiano andavamo bene tutti e ancora siamo bravi oggi.
C’era sicuramente qualcosa di Don Milani in lui.
Ecco, leggendo Lettera a una professoressa ho pensato questa cosa prima di tutto: se avessi avuto questo libro quando andavo a scuola avrei fatto ancora più casino ma mi sarei sentito molto meno solo.

In Lettera a una professoressa c’è ancora oggi l’indicazione, la prospettiva di ciò che la scuola dovrebbe diventare.
Rappresenta uno dei testi più radicali che io abbia letto e non a caso è un testo collettivo frutto di un imponente lavoro.
Dico “non a caso” perché su questa roba è proprio necessario insistere oggi, sul valore e la necessità di “collettivo” e uscire dall’illusione individualista. Un’illusione, appunto, che da soli si possa risolvere qualcosa, l’illusione che le cose siano frutto di una sola persona e non di un’interazione di cose, l’illusione della proprietà che sia materiale o intellettuale.

Pensate che quando si sparse tanto la voce di Don Milani spesso, a Barbiana, in questo paesino sperduto, arrivavano persone, professoroni, intellettuali, giornalisti, tutti volevano parlare con lui.
Oggi qualunque persona sarebbe presa dal narcisismo di stare davanti alle telecamere, di stare nel salottino o di perder tempo a parlare di cose intelligentissime tra pochi eletti.
Lui invece con loro non parlava, gli diceva di dare una mano a far scuola ai ragazzi, li prendeva e li riportava a terra, nel mondo reale, a “sporcarsi le mani”, «oppure potete anche andare via», diceva.
Ebbene non è anche questa un’indicazione chiarissima? Non è anche questo un messaggio bellissimo da dare ai ragazzi e le ragazze (o forse ancor più agli adulti)?

In Lettera a una professoressa c’è prima di tutto una cosa FONDAMENTALE.
Un’analisi che dimostra come l’appartenenza di classe sia determinante a scuola.
Cosa oggi sicuramente diversa, perché sono cambiate moltissime cose (e qui si potrebbe parlarne a lungo) ma che resta, e continua ad esistere. La differenza delle condizioni di partenza che non consentono di poter parlare di “merito”, una parola molto usata negli ultimi anni, non a caso.
Nel testo si dimostra anche con i dati come ciò sia vero, come la scuola pubblica favoriva comunque le persone provenienti da una certa classe sociale, che avevano il babbo che faceva un certo mestiere.
In seconda battuta si analizza al tipo di sapere che si insegnava e alle competenze che si richiedevano e, semplicemente, si ridicolizzano loro e chi le applica (la professoressa). Dice:

La scuola è come un ospedale che cura solo i sani e caccia i malati

Don Lorenzo Milani

E poi si fanno delle proposte e si pensa a una scuola senza esami, senza bocciatura e a molto altro.
Se ci pensiamo bene, cosa c’entra il sapere con la bocciatura?
Proprio qui si insinua il germe che cerca di rendere la cultura e il sapere qualcosa di quantificabile, renderlo merce, renderlo dei numeri. Quelli che oggi all’università vengono chiamati “crediti formativi”, pensare che un esame vale 4 crediti e uno ne vale 12 in base a quanti libri c’è da studiare e che la laurea altro non è che la somma di crediti e di un esame farsa sul finale.
Ecco come è andata a finire, che l’università è un’azienda che sforna precari che hanno tutti un sapere neutro, conforme, a-critico, fatto di numeri, di burocrazia e che tutto ciò non serva nemmeno più a quel famoso “ascensore sociale” ma solo a mettersi sul mercato come forza lavoro usa e getta e sempre sostituibile.

La scuola ancora può molto, anzi, moltissimo.
Nella scuola pubblica c’è ancora chi crede nella “via” di Don Lorenzo Milani e che ogni giorno, quando ha di fronte dei bambini e delle bambine, si mette in seria discussione.
Persone come Simonetta Salacone, ad esempio, o come le tante maestre e maestri (o prof) che ci capita di incontrare con Momo quando andiamo a fare dei laboratori dentro le scuole.
Pensate a come le differenze di classe si sono palesate durante il periodo del Covid, con la DAD, chi aveva 1 computer per 3 fratelli, chi aveva il giardino e la piscina, chi non aveva la connessione ecc ecc e in tutto questo la follia di dover portare a termine dei programmi fatti da un ministero di burocrati i quali figli (di chi fa il ministro) di certo hanno più di un computer a testa e la scuola privata dove recuperare semmai ci fosse bisogno.

In tutto questo il mondo della cultura dove sta? Dove sono gli intellettuali?
Sono lì, sui social o nel salottino e parlano di cose molto giuste e belle, cercano di creare una “soglia” invarcabile tra loro e il resto del mondo.
A proposito di “soglia” Don Milani diceva che il linguaggio e le parole sono una soglia, se le conosci puoi varcarla e capire gli altri, altrimenti resti fuori. Per questo dobbiamo usare le parole che conosciamo quando scriviamo ma anche fare in modo che gli altri le conoscano e le capiscano, non inventare ogni giorno una soglia per lasciare gli altri fuori.

Proprio ieri sono stato scuola Pisacane di Roma, quella di Simonetta, un posto dove la sua impronta è ancora visibile nonostante siano passati anni dalla sua scomparsa.
Il tema era “Come nasce un libro? Che cos’è una casa editrice?”, sono state 5 ore vulcaniche, piene di stimoli, piene di cose e sono uscito da lì stanco morto ma che mi sentivo di camminare a un metro da terra. Poi sono arrivato davanti al computer e mi era arrivata una mail dal commercialista con un F24 da pagare.
Il costo di questo F24 è identico al pagamento che devo ricevere dopo un mese che non riesco a pagarmi.

Eccomi qui, lavoro tutti i giorni, do cuore e anima e poi non riesco ad avere qualche euro in più per stare tranquillo, ho il conto vuoto.
Tutte le persone che conosco stanno meglio di me economicamente, almeno una pizza fuori se la riescono a fare senza dover contare gli spicci e avere poi l’ansia di aver speso troppo.
Che c’entra questa digressione?
C’entra che questo è il mondo del lavoro culturale, un mondo di una precarietà che ti manda in depressione, che ti fa chiedere veramente che senso ha sopravvivere di stenti mentre da fuori il mondo pensa che stai facendo qualcosa che non è nemmeno veramente un lavoro ma una passione, un hobby. Oppure ci sono i figli dei ricchi, i figli della borghesia, gli autori stellari che non ne parlano nemmeno del lato economico della faccenda.

Don Milani che avrebbe detto di fronte a questo?
Forse avrebbe ribadito che il problema rimane un problema di classe, forse per tirarmi su avrebbe detto una cosa da prete tipo che “se non la facciamo noi questa strada non la fa nessuno” (che poi l’ha detta un rapper amico mio questa) e che alla fine la ricchezza la si può trovare dentro una scuola, sempre “sporcandosi le mani”. Chissà.

Ma è questo il messaggio da dare al mondo ovattato “della cultura”, degli attivisti da social network e degli eletti da quattro soldi: venite qui a sporcarvi le mani se avete coraggio, lì non ci servite a niente.

Per saperne di più

La scuola più bella che c'è. Don Milani, Barbiana e i suoi ragazzi

Di Francesco NiccoliniLuigi D'EliaSandra Gesualdi | Mondadori, 2023

Università e pecore. Vita di don Lorenzo Milani

Di Alice Milani | Feltrinelli, 2019

Don Lorenzo Milani. L'esilio di Barbiana

Di Michele Gesualdi | San Paolo Edizioni, 2023

L’equivoco don Milani

Di Adolfo Scotto di Luzio | Einaudi, 2023

L' uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani

Di Eraldo Affinati | Mondadori, 2017

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