La trilogia della Patria del giornalista e scrittore Enrico Deaglio è una raccolta in presa diretta dei fatti più importanti che hanno segnato la storia del nostro paese dal 1967 al 2020. I volumi:
Ma davvero è successo tutto questo? In un libro di novecento pagine, una cavalcata in quel vero romanzo che è stata l'Italia degli ultimi trent'anni. È come guardare un film sulla nostra vita, in cui gli avvenimenti sono raccontati mentre succedono.
ITALIA, 28 MARZO 1994
Il verdetto
Be', ragazzi! State vivendo un momento storico, mai successo prima in una democrazia europea: ha votato l'86,1% degli italiani e un partito-non partito ufficialmente nato da tre mesi ha stravinto le elezioni. L'Italia si è affidata a un industriale, che è risultato simpaticissimo, sceso in campo perché alla canna del gas. Il fatto di avere una Costituzione antifascista è stato considerato non molto influente: Fini sale al governo. Disegnata con i colori azzurri (Forza Italia) e rossi (i Progressisti) l'Italia risulta così colorata: azzurro-verde in tutto il Nord, tranne qualche isola intorno a Torino e in Liguria; rossa in Emilia, Toscana, Umbria, Marche; azzurro-nero da Roma in giù.
Gli scontri diretti, all'americana, sono un disastro per i Progressisti. Antonino Caponnetto, il simbolo della lotta antimafia, perde a Palermo contro l'avvocato missino Guido Lo Porto. Luigi Spaventa, ministro del Bilancio del governo Ciampi, soccombe nel centro di Roma proprio davanti al milanese Silvio Berlusconi che gli dice: «Prima di parlare, vinci tre Coppe dei campioni come ho fatto io col Milan». Umberto Bossi, nel centro di Milano, doppia Franco Bassanini.
A Torino, dove abitano gli operai della Fiat Mirafiori, Sergio Chiamparino perde, di misura, di fronte allo psichiatra Alessandro Meluzzi. A Rozzano, cintura industriale di Milano, l'ex segretario della Cgil Antonio Pizzinato perde sonoramente di fronte a Valentina Aprea ; e altrettanto fa Fiorenza Bassoli a Sesto San Giovanni (detta «la Stalingrado d'Italia») contro Pierangelo Paleari. A Cantù, il deputato leghista Luca Leoni Orsenigo (quello che ha sventolato il cappio a Montecitorio) ottiene il 61,7% dei consensi. Alla Camera Forza Italia totalizza il 21%, con 8 136 135 voti. La Lega 3 235 248 (8,4%). Alleanza nazionale 5 214 133 che vuol dire il 13,5%.
"Rivoluzione", terremoto, svolta epocale: sono le definizioni più ricorrenti per spiegare il senso delle elezioni del 27 e 28 marzo 1994. Ma sono davvero aderenti a quel che è avvenuto? Certo, il quadro emerso risulta diverso dal passato, più aperto e combattivo, meno vincolato da appartenenze ideologiche o religiose e attraversato, per contro, da inediti processi, a cominciare dalla personalizzazione dello scontro politico e dall'accentuata importanza dei mass media.
Molto diverso il risultato al Senato, dove lo schieramento di Berlusconi è in minoranza: 156 senatori contro i 159 dell'opposizione. Ma il Polo delle libertà otterrà comunque la maggioranza. Passa a Forza Italia Giulio Tremanti, professore, fiscalista, eletto con il Patto per l'Italia di Mario Segni e poi, al momento della votazione, lasciano l'aula i senatori Vittorio Cecchi Gori, Luigi Grillo, Tommaso Zanoletti, Sergio Cusumano, abbassando il quorum necessario a 158 voti. Berlusconi ottiene la fiducia con 159 voti, uno più del necessario grazie ai senatori a vita Gianni Agnelli, Francesco Cossiga e Giovanni Leone.
ITALIA IL GIORNO DOPO. A CHE COSA SOMIGLIA L'INCREDIBILE?
Nelle file del centro-sinistra non ci si capacita. In un colpo solo l'Italia ha dimostrato di non essere affatto antifascista, portando al governo il capo del partito che si richiama a Mussolini; di non temere la mafia siciliana, anzi, di non disprezzarla affatto in Sicilia e al Nord di non saper neppure che cosa sia. Naturalmente la colpa viene data al potere della televisione e Berlusconi viene paragonato ai personaggi più svariati: a uno spregiudicato impresario; a un fallito di successo; al protagonista del film Quarto potere che con i giornali dominava l'America (però, nel film, il «cittadino» Charles Poster Kane aveva perso alle elezioni). A un Mussolini rimodernato; all'autore del programma piduisti di Licio Gelli; a quell' «omino di burro» che in Pinocchio invita tutti i bambini nel paese del Bengodi per poi renderli schiavi, trasformarli in ciuchini e mozzare le orecchie a chi protesta. Le prospettive sono le più diverse: «durerà un anno» dice quella più ottimista. «Questo ce lo teniamo per vent'anni» dice quella pessimista.
L'Europa nella quale ci accingiamo a entrare come membri costituenti, sulla base di valori condivisi, di severe regole di bilancio e di una moneta unica, è a dir poco sconcertata. Un po' per la figura del vincitore, un po' perché è la prima volta che un partito fascista va al potere dalla fine della guerra. E proprio nel paese che il fascismo l'aveva inventato, e poi esportato in Germania.
L'Italia aveva una struttura, si pensava. Una torta con una crosta spessa, che però si è rivelata essere una crosticina: è bastato fare un buco con la forchetta, si è ammosciata ed è venuto fuori qualcosa che non aspettavo altro che uscire. Il regista Nanni Moretti rivela: «La sera del 28 marzo 1994, quando vinse la destra, per la prima volta in vita mia mi feci una canna». Su proposta del quotidiano Il Manifesto il 25 aprile si trasforma in una grande manifestazione antifascista di 200mila persone sotto un uragano di pioggia. Partecipa anche Umberto Bossi, che viene fischiato, ma non se la prende troppo: «Il mio posto è con il popolo».
Di
| Feltrinelli, 2018Di
| Il Saggiatore, 2010Di
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