Nella chiesa di San Ferdinando di Piazza Trieste e Trento a Napoli, gremita all’inverosimile con tantissimi giovani mischiati a vecchi attori e attrici e semplici appassionati della lirica drammaturgica teatrale, è stato tributato l’ultimo saluto a Enzo Moscato, grande poeta della scrittura e della narrazione contemporanea.
Attore, autore, drammaturgo, regista, esponente di un teatro rivoluzionario che ha lasciato segni e tante innovazioni, sperimentazioni nei linguaggi e nelle forme poetiche.
Nella chiesa, la tristezza e la commozione erano palesi, come pure la consapevolezza di non poter più ascoltare una voce così intensa, intrisa di evocazioni, di solitudini, di sberleffi surreali e iconici, di espressività, di forme e dialetti ancestrali che scavavano dentro, scarnificandoli, i protagonisti delle sue pièce.
Così lo definisce Martone nell’intervista concessa a Titta Fiore su il Mattino all’indomani della scomparsa:
Un uomo magico. Un grandissimo poeta capace di incidere nella carne viva della sua cultura, e non solo un drammaturgo eccelso. Un poeta capace di esprimere l’anima profonda di una città. Moscato ha saputo intercettare un mondo sofferente e fantasmatico, capace di tenere insieme i vivi e i morti. Il suo lavoro è stato prodigioso.
"Avevo dimenticato i Piccoli Esseri che incontravo tutti i giorni per i vicoli e le rampe, le scalette e le piazzette che congiungono i Quartieri alla Collina Verde. Avevo dimenticato, sì, la Gran Vita dei Folli, degli Storpi, i Deformi, i Muti, i Vecchi ritornati Piccini, i Piccini divenuti Anime Perdute!'
C’era tutto questo che aleggiava tra la folla di amici - quasi materializzando i suoi personaggi - che danzavano attorno alla bara al centro della navata. Si percepivano l’irriverenza e la solitudine di Nanà di Luparella, gli Spiritilli, Palummiello, Cartesiana di Ritornanti.
A questo proposito vengono chiare in mente le note di regia che scrisse di Ritornanti recital da Spiritilli, Palummiello, Cartesiana (Positano Teatro Festival, 2020) che danno il senso del suo incedere nella scrittura drammaturgica.
Ri-tornare, ri-percorrere, ri-sentire, ri-pronunciare, è, forse, l’atteggiamento che pratico di più, e più spesso, con le mie cose di teatro. Soprattutto all’ indomani della prima di un nuovo spettacolo, quando, magari, (e miracolosamente) mi sia riuscito di mettere a punto qualche significativa svolta, formale o tematica, lungo il mio, non sempre lineare, camminare drammaturgico: qualche nuova rottura, qualche nuovo azzardo, qualche inedito desiderio di “ferita” o salto, linguistici, nell’ ignoto vuoto dell’ “espressivo” (rubo, con piacere, questo termine, ad Anna Maria Ortese)
Giuseppe Affinito - attore fin dalla tenera età e figlio di Claudio, che insieme a Enzo ha costituito la compagnia teatrale ma anche l’affettuosa famiglia – così lo racconta nella sua Lettera ricordo:
Davanti alla morte, cosa puoi opporre? Il non senso. E cantarlo”. Lo dicesti una volta così, quasi per caso, in un viaggio in macchina. E adesso che non ci sei più avremmo tutti e tutte voglia di cantare e di fuggire dalla realtà, dal senso, insieme a te…Tu, corpo celeste, tu, partorito dalla mente di Giove, ti sei liberato tra le costellazioni e il mare. Sembra difficile credere che tu, proprio tu, che ci hai insegnato la formula dell’immortalità, possa non esserci più. Perché la poesia non muore, non può farlo, e allora tu, il poeta, avresti dovuto vincere le barriere del tempo ed essere per sempre con noi (…) Come tutte le cose belle, tu sei un mistero. I misteri si vivono senza spiegarsi e noi, questa città, il teatro tutto, ti abbiamo vissuto senza essere capaci forse di capirti fino in fondo, e chissà se mai ci riusciremo a trovare una ragione, una misura reale della rarefatta poesia che ci lasci. Con la sapienza e “l’abilità di un mago o di un prestigiatore”, hai prestato la tua mano a qualcosa di più alto e di più potente, del quale speriamo negli anni di riuscire a coltivare la scoperta e la devozione. Hai abbracciato “un popolo, una folla – che adora la coccarda di Rousseau” dando voce e gloria alle sue viscere ammalate, hai raccontato la Storia mentre venivi scritto da essa, e noi tutti ti siamo debitori del compito che su di te hai sussunto, perché una volta ad una premiazione hai detto “io ho fatto solo il mio dovere"
La città di Positano ha imparato ad amarlo, lo ha seguito con affetto e riconoscenza, per 18 anni, insieme alla cantante e attrice Antonella Morea - l’attuale direttrice artistica del Festival - è stato fra gli interpreti principali che hanno contraddistinto la programmazione della direzione artistica, sin dalle origini, guidata da Gerardo D’Andrea e conclusa nel 2021 con la sua scomparsa.
E in quella stagione del Festival Enzo Moscato tenne fede al cartellone deciso da D’Andrea portando in scena Luparella ovvero Foto di Bordello con Nanà, testo e interpretazione dello stesso Moscato con Giuseppe Affinito. Così Moscato raccontava il suo spettacolo:
Protagonista della vicenda (o della Storia, o della Natura, che, come Leopardi avvertiva, sono spesso, a Napoli, la stessa, crudelissima cosa) è Nanà, l’anima candida e reietta, giovane vecchissima creatura al servizio “minuto” delle donne di un bordello arroccato sui “Quartieri Spagnoli”, nella Napoli, desolata e avvilita, dell’occupazione nazista, sul finire dell'estate del 1943. È Nanà, simbolo di una Napoli-risentimento e non da folclorica cartolina, voce e volto d’azione di riscatto, a fronte delle infinite bugie e menzogne su un popolo, consegnatoci da chi ce lo tramanda come inerte e infingardo, pagnottista e voltagabbana, a farsi, nella vicenda, l’artefice violenta d’un delitto, una specie di catarsi, improvvisa e sanguinaria, attuata a difesa di una vittima, di qualcuno più soggetto e più debole di lei: di Luparella, appunto: l’altro corpo-non corpo in scena, puro fantasma, evocazione di memoria, ombra fedele di Nanà nell’osceno e sboccato rosario dei martirii.
Ma la prosa di Moscato, la sua lirica, non abbandona il palcoscenico di Sala Assoli. Con We love Enzo, infatti, prosegue la rassegna dedicata alla lingua scenica del drammaturgo, cominciata con Isa Danieli (con Tempo che fu di Scioscia, e il film Luparella di Giuseppe Bertolucci).
Ed è in questa circostanza che è arrivata la notizia della scomparsa di Moscato. La rassegna è poi proseguita con Cristina Donadio con Co’Stell’Azioni, e con Vincenza Modica e Enza Di Blasio in scena con Sull'ordine e il disordine dell'ex macello pubblico:
"I testi presenti in questa prima parte del lavoro chiamato 'Archeologia del sangue', da me, idealmente, previsto diviso in tre sezioni, dai primi anni della mia vita fino a mò (anno del Signore 2020), potrebbero costituire una sorta di bislacca e parziale 'autobiografia'.
Enzo amava gli sconfinamenti – scrive l’attrice - i trapassi, l’andare e venire dagli altrove e, anche in questo caso, c’è un andare e venire da un lirismo a un altro.
Poi l’omaggio continuerà con Imma Villa, insieme alle giovani attrici Mariachiara Falcone, Valeria Frallicciardi e Francesca Morgante nello spettacolo Trianon (dal 25 al 28 gennaio); scenderanno nelle viscere di Napoli, incarnandone l’umore e la primigenia forza espressiva.
Imma Villa, meravigliosa interprete del testo di Moscato Scannasùrice che così scriveva:
Ecco, io con Sсannasùriсe (…) vedevo е percepivo le ferite, le faglie, le fratture dei nostri animi con lo stato precedente della vita e la cultura a Napoli.. …misteriosofico-plebeo poema sulla mia discesa agli Inferi di Napoli (i bassi, gli ipogei), appena secondo, in senso cronologico tra i testi da me pensati per il teatro, eppure possedente già, "in nuce", se non di fatto, gran parte della malattia anti-tradizionale, gran parte di quell'"es-tradizione" dalle mie proprie radici, che avrei espresso pienamente dopo, in altri ed insoliti esiti drammatici (…) Il personaggio è, originariamente, un “femminiello” dei Quartieri Spagnoli di Napoli, fa la vita, “batte” il marciapiede. Nella scrittura drammaturgica di Moscato, i femminielli sono creature quasi mitologiche. Oltre l’identità sessuale, sono rappresentazioni di tipo magico.
Da qui una scelta e una trovata che ha dato oltremodo potenza alla messa in scena: l’interpretazione affidata ad un’attrice, che va oltre l’identità sessuale, rendendone evidenti l’ambiguità e l’eccesso.
Una volta smontata la sua appariscente identità, indosserà la solitudine e la fatiscenza stessa del tugurio in cui vive. Sarà cieca Cassandra, angelo scacciato dal Paradiso, sarà maga, sarà icona grottesca e disperata, ma sempre poetica. Carlo Cerciello mette insieme i due finali scritti da Moscato in due momenti successivi: il primo nel 1982, il secondo su indicazione di Annibale Ruccello, che ne firmò la regia due anni dopo.
Ci mancherà molto la potenza scenica e linguistica di Enzo Moscato.
Di
| Cronopio, 2020Di
| Cronopio, 2017Di
| Einaudi, 2014Di
| Einaudi, 1972Di
| Edizioni di Storia e Letteratura, 2023Ti potrebbero interessare
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