Il mondo enorme che ho nella mia testa. Ma come liberarmi e liberarli senza mettere a soqquadro. E mille volte piuttosto strappano o mi trattengono […]. Per questo sono qui, questo è abbastanza chiaro per me
Il desiderio e il cocente bisogno di trovare quel posto nel mondo che sentiva essergli negato. Questo ha spinto Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924) a mettere nero su bianco le angosce, i dubbi esistenziali, i buchi neri in cui la società lo aveva risucchiato e in cui vedeva altre persone farsi risucchiare senza via di scampo.
Questo il motivo per cui, dopo più di un secolo, le sue opere – tutte, anche quelle non licenziate dall’autore ma salvate dal suo amico e curatore Max Brod – sono rimaste vivide e attuali per così tanto tempo, e non accennano a cedere il loro posto ad altri.
Sono passati 140 anni dal 3 luglio 1883. 140 anni dalla nascita di un uomo che con la sua sensibilità, con la sua capacità di descrizione, con la delicatezza e l’onestà del suo sguardo ha rivoluzionato la letteratura del XX secolo.
Dipendente in una compagnia di assicurazione che lo rese molto infelice, Franz Kafka rimpiangeva, durante gli orari di lavoro, di non avere abbastanza tempo da dedicare alla scrittura, la sua vera vocazione.
Ma lo ha trovato, poi. E ha dato vita a moltissimi testi, anche se è conosciuto soprattutto per La metamorfosi (Die Verwandlung, 1915), un ritratto quanto mai attuale di quel senso di colpa e di inadeguatezza nei confronti della propria famiglia, del proprio lavoro e, in definitiva, dell’ambiente sociale in cui si vive.
Dai romanzi (Il processo, 1925; Il castello, 1926; America, 1927), dai racconti (Meditazione, 1904-1912; Un medico di campagna, 1914-1917; Un digiunatore, 1922-1924), ma soprattutto dai suoi diari (Diari 1910-23, 1949) e dalle sue lettere (le più famose Lettera al padre, 1919 e Lettere a Milena, 1958), emerge con chiarezza l’immagine di un uomo diviso fra un asfissiante senso del dovere e un’inevitabile solitudine.
Ciò che nella sua narrativa rimane volutamente oscuro e criptico, sintomo di un vivo interesse per temi esistenzialisti e di una singolare capacità di introspezione e di trasfigurazione del reale, nei testi in prosa più intimi viene svelato con un tatto e una precisione senza pari.
Sono rimaste immortali, a tal proposito, le parole da lui usate per consolare una bambina incontrata per caso nel parco Steglitz di Berlino, la piccola Elsi, sulla perdita della sua bambola. Fingendo di parlare a nome della bambola, l’autore scriveva:
Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…
E poi, dopo aver regalato a Elsi, una nuova bambola, giustificava con queste parole il suo aspetto diverso dall’originale: «I miei viaggi mi hanno cambiata».
Cosa emerge, dello scrittore boemo, dai suoi testi?
Non solo un inguaribile amore per la capacità di immaginare nuove storie, ma anche la necessità di trovare, a queste nuove storie, un posto che le renda vive.
Inutile dire che, con La metamorfosi prima e con le altre opere poi, Kafka ha piantato numerosi semi per ciò che oggi viene definito realismo magico. Nel farlo, ha ridefinito i confini di ciò che può essere considerato letteratura.
Noi, il 3 luglio 2023, non possiamo fare altro che celebrare i 140 anni di un uomo che ha saputo dare forma alle angosce e all’inquietudine che tormentano anche noi, che hanno forma diversa ma stessa sostanza ancora oggi. Possiamo non dimenticare mai le sue parole ed essere grati per la genuinità con cui ce le ha consegnate. Anche se – preciso qual era – fosse stato per lui avrebbe bruciato l’80% dei suoi scritti.
E se un piccolo viaggio ha cambiato la bambola Brigida, quanto ha cambiato noi il viaggio a cui ha dato inizio Franz Kafka, in questo secolo e mezzo di storia?
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