Esattamente 45 anni fa usciva nelle sale il film che avrebbe consacrato un nuovo maestro dell’horror, John Carpenter: stiamo parlando di Halloween – La notte delle streghe. Costato 300.000 dollari, ne guadagnerà oltre 70.000.000.
Michael, sei anni, ammazza la sorella. Viene internato in una clinica psichiatrica, ma dopo quindici anni fugge per recarsi al suo paesello.
Nel 1978 il regista era già considerato una promessa del cinema a budget ridotto ma ad alto tasso di inventiva. Tuttavia, che potesse diventare un’icona del genere horror – dando fondamentalmente vita al sottogenere urbano – non era ipotizzabile. Le sue due opere antecedenti, infatti, erano di taglio ben diverso. La prima, Dark Star del 1974, era di fatto un saggio realizzato in ambito ancora universitario, poi allungato grazie a fondi ulteriori, ed era praticamente una parodia della fantascienza, anzitutto kubrickiana. La seconda, Distretto 13 – Le brigate della morte del 1976, era una specie di remake di un film che aveva ossessionato da sempre il giovane cineasta, ovvero il magnifico western Un dollaro d’onore di Howard Hawks, stavolta virato in chiave cittadina e contemporanea (si confronti altresì con Fantasmi da Marte).
Quando dunque giunge nelle sale Halloween – La notte delle streghe nessuno si aspetta che quel giovane autore di Carthage, poco più che trentenne e senza grandi fondi a sua disposizione, possa non solo sbancare il botteghino ma farlo altresì con un horror, all’epoca appannaggio in primis di George A. Romero e Tobe Hooper e comunque raramente con risultati rimarchevoli nelle sale.
Il film racconta la storia di un ragazzo disturbato che, benché internato a causa dell’omicidio della sorella perpetrato in giovanissima età, riesce a fuggire e torna a mietere vittime, fissandosi infine con una donna che pare sfuggirgli sempre. Lui si chiama Michael Myers e diventerà sinonimo della maschera bianca e del coltello, tornando più volte sullo schermo tra sequel, prequel, remake e variazioni sul tema.
Carpenter entra nella storia del cinema mediante alcune idee registiche, tutte perfettamente calzanti e utili per lo sviluppo della vicenda e la creazione della tensione che deve avere un simile prodotto. Più specificatamente la decisione di usare la soggettiva quando entra in azione l’omicida, obbligando lo spettatore a compiere i crimini; quindi, i primi movimenti di steadycam (poi diventati cruciali e sdoganati definitivamente da un altro horror indimenticabile, lo Shining di Stanley Kubrick, 1980); infine una colonna sonora – composta dallo stesso Carpenter – che pur incentrata su un numero limitato di note, trasferisce un senso di inquieta attesa rispetto a ciò che potrà accadere. Eccezionale la scena iniziale, un vero gioiello.
Il cast è anzitutto incentrato sull’esordiente Jamie Lee Curtis (figlia dei celebri Tony Curtis e Janet Leigh) e su Donald Pleasance, mentre Myers è interpretato dall’attore e regista Nick Castle. La grandezza del film consiste nella sua immutata capacità di creare tensione nonostante ripetute visioni, segno che l’impianto narrativo e le soluzioni registiche erano figlie di un ragguardevole stato di grazia artistico.
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