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Il giovane Holden, un libro nato classico

© Wikimedia by Lotte Jacobi -  Little, Brown and Company

© Wikimedia by Lotte Jacobi - Little, Brown and Company

Io abito a New York, e pensavo al laghetto di Central Park, vicino a Central Park South. Chi sa se quando arrivavo a casa l’avrei trovato gelato, mi domandavo, e se era gelato, dove andavano le anitre?

Prima impresa – venuta dieci anni dopo, nel 1961: Einaudi si trova a voler tradurre un libro che negli Stati Uniti ha avuto un impatto sismico sulle nuove generazioni, ma qualcosa, in quel libro, resiste. Tutto, lì, oppone una certa ritrosia a essere tradotto, non in senso letterale, si capisce, ma c’era una faccenda che più di tutte metteva in tensione la vicenda editoriale del libro, ed è il titolo. Einaudi si trova a maneggiare uno degli aspetti più importanti e non sa bene come fare, perché negli Stati Uniti il libro si chiama The catcher in the rye. E tradizionalmente si vuole che significhi “il prenditore nella segale” che però, per noi, non significa proprio un bel niente.

Ma se si traduce così all’ora dov’è l’intraducibile, ci si può legittimamente domandare, ma questo è un caso scuola, perciò vi sarete di sicuro imbattuti in qualche articolo che spiega con dovizia di dettagli perché The catcher in the rye attinge da un immaginario, da una cultura, da un modo di stare al mondo che è, di fatto, impossibile da portare oltre, tradurre, per l’appunto. Il colpo di genio venne al secondo tentativo, in Italia – prima Jacopo Darca provò con Vita da uomo, ungarettiano e poco aderente – perché in Einaudi il libro uscì con un titolo che adesso, anche in noi, spalanca un mondo. E venne fuori Il giovane Holden.

Le anatre di Central Park, le sigarette, gli «e via dicendo» (Adriana Motti, prima traduttrice per la casa editrice dello struzzo, rendeva così gli and all), le 150 volte che compare la parola «cazzo», Phoebe. Tutti elementi di un mondo che è rimasto, dal 1951 a oggi, pieno davvero di un sacco di vita.

Io sono il più fenomenale bugiardo che abbiate mai incontrato in vita vostra

Poi c’era tutto il resto. C’era che la trama si poteva tradurre in una manciata di parole: un sedicenne, Holden Caulfield, viene cacciato dal college e per non tornare a casa dai genitori e dar loro la notizia si mette a bighellonare per New York. Fine. Quindi doveva esserci qualcos’altro, dentro, che rendeva il libro un capolavoro, e questo qualcos’altro è proprio Holden. Alessandro Baricco, qualche tempo fa, raccontava che Holden aveva un modo tutto suo per guardare le cose: percepiva il mondo con una sensibilità esasperata che gli permetteva di – o lo condannava a – vedere ciò che rimane sul fondo, in disparte, seppellito da strati e strati di superficie granulosa e opaca.

C’è anche da dire che il buon vecchio Holden può non stare simpaticissimo, soprattutto all’inizio. Avete presente quando comincia con «Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne»? Non proprio una persona a modo. Ma Salinger è talmente convinto da questo pivellino da lasciargli decidere pure quest’incipit. E noi? Noi pure glielo lasciamo fare, perché se Holden ci dice che di quella storia non vuole parlare ora, per partito preso, vogliamo sentire cos’ha da dire.

Anche se sappiamo che non possiamo fidarci al cento per cento, no, non solo perché la sua lettura del mondo è talmente intima da non rientrare nelle categorie di vero o falso, ma anche perché lui ce lo dice, di essere un bugiardo. Ha questa cosa di dover mentire su tutto, e forse lo sta facendo anche a noi – e forse anche noi, per capire Holden, dobbiamo metterci nella sua stessa posizione, che è scomoda e ci chiede un bel po’ di attenzione.

Certe volte mi comporto come se fossi molto più vecchio di quanto sono – sul serio – ma la gente non c’è caso che se ne accorga. La gente non si accorge mai di niente

La gente, nonostante tutto, si era accorta di Holden, e questo grazie a Salinger. Lo scrittore aveva scritto un libro diventato in tempi inaspettatamente brevi popolarissimo. E questo, per Salinger, cominciò a essere un problema, e il suo carattere sempre più schivo e riservato alimentarono un mito sull’autore di uno dei più grandi libri della letteratura americana. Si era allontanato da New York, non rilasciava interviste, non condivideva nulla con nessuno se non con la moglie Claire e i due figli. Il giovane Holden fu la sua ultima uscita pubblica – non il suo ultimo libro, ben inteso. Dopodiché non si seppe più nulla.

Prima di sparire dalla scena, Salinger disse in un’intervista a un giornalino scolastico che Il giovane Holden aveva qualche tratto autobiografico. E che era un sollievo poterne parlare. Eppure, a un certo punto, dev’essersi rivelata vera quella frase incredibile nella forma e nella portata che faceva così: «È buffo. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti». È buffo, in effetti, quanto Salinger ci sia in Holden, e viceversa, e quanto quel libro abbia attecchito nel mondo. Del resto è un mondo, il mondo, raccontato con gli occhi di un ragazzo che non ha voglia di raccontare un bel niente e invece ci ha detto tutto quel che ci serviva sapere.

Holden e gli altri

Il giovane Holden

Di J. D. Salinger | Einaudi, 2014

Franny e Zooey

Di J. D. Salinger | Einaudi, 2014

Nove racconti

Di J. D. Salinger | Einaudi, 2014

Alzate l'architrave, carpentieri-Seymour. Introduzione

Di J. D. Salinger | Einaudi, 2019

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J.D. Salinger è stato uno scrittore statunitense. Dopo gli studi universitari a New York, prese parte come sergente di fanteria alla seconda guerra mondiale. A differenza di altri prosatori della sua generazione, Salinger però non privilegia l’esperienza bellica, la trasferisce se mai in un privato simbolico. L’ambiente del romanzo che gli ha dato la celebrità, Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, 1951, pubblicato in Italia da Einaudi nel 1961), è quello medio-alto borghese, con i suoi codici di comportamento, il suo conformismo, la sua assenza di valori; se la coppia borghese tende a riprodursi a propria immagine e somiglianza, sarà l’adolescente a tentare di distaccarsi per una propria ricerca di identità, rifiutando, come lo Huck Finn di Mark Twain, di «lasciarsi educare». Il successo del romanzo si deve alla esemplarità della figura di Holden (personaggio che costituisce anche il punto di vista narrativo), oltre che al linguaggio, trascrizione avvertita del cosiddetto college slang, e all’ironia, pur ricca di partecipazione, che rientra nel filone del grande umorismo esagerativo americano. Anche nei Nove racconti (Nine stories, 1953) i ragazzi e il loro linguaggio sono l’occhio critico, la struttura narrativa, il veicolo ideologico, in un mondo che ricorda in parte, per sottigliezza, inquietudine, tenerezza, quello di F.S. Fitzgerald, uno degli autori prediletti di Salinger.A interessi di tipo metafisico (in particolare per il buddhismo zen) molti critici attribuiscono taluni squilibri di fondo e quella sorta di manierismo che caratterizza le opere successive di Salinger, capitoli ideali di una saga familiare: Franny e Zooey (Franny and Zooey, 1961), Alzate l’architrave, carpentieri (Raise High the Roof Beam, Carpenters!, 1963) e Hapworth 16, 1924, l’ultimo racconto apparso sul «New Yorker» nel 1965, prima del grande silenzio in cui Salinger si è volontariamente e rigorosamente chiuso.Fonte: Enciclopedia della Letteratura Garzanti 2007Sulla lettura scriveva: «Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira. Non succede spesso, però.»

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