In uscita oggi al cinema il film La figlia oscura (The Lost Daughter). Il lungometraggio è tratto dal libro omonimo di Elena Ferrante, pubblicato nel 2006 da E/O, e vede alla regia Maggie Gyllenhaal, per la sua prima volta.
La trama si compone di elementi semplici: una professoressa universitaria, il suo passato, una donna e sua figlia. Gli ingredienti sono i classici della Ferrante, la figura femminile è ancora al centro, si intuisce quel senso di smarginatura proprio dei personaggi che abbiamo imparato a conoscere. Leda, prof interpretata da Olivia Colman, è la protagonista della storia ed è in vacanza al mare. È in viaggio dopo la partenza delle figlie per ritrovare se stessa come essere umano: questa è per lei l’opportunità di liberarsi dall’etichetta di madre. La maternità, però, stenta a lasciarla. Sulla spiaggia, infatti, il suo animo viene colpito e affascinato da una giovane madre, Dakota Johnson, che è lì con sua figlia. Il loro rapporto è intenso, fisico, morboso e Leda ne è turbata.
Nell’osservare madre e figlia, la professoressa viene investita da diversi ricordi che le provocano paura, confusione, sono le stesse sensazioni che ha provato nelle prime fasi della maternità. È così che Elena Ferrante, e di conseguenza Maggie Gyllenhaal, ci fanno viaggiare nella mente di Leda che riflette sulle proprie scelte di quando era una giovane madre. E ad ogni scelta corrisponde una conseguenza.
Leda è un'insegnante, divorziata da tempo, tutta dedita alle figlie e al lavoro. Ma le due ragazze partono per raggiungere il padre in Canada. Ci si aspetterebbe un dolore, un periodo di malinconia. Invece la donna, con imbarazzo, si sente come liberata e la vita le diventa più leggera. Decide di prendersi una vacanza al mare in un paesino del sud. Ma, dopo i primi giorni quieti e concentrati, l'incontro con alcuni personaggi di una famiglia poco rassicurante scatena una serie di eventi allarmanti.
Thriller psicologico, La figlia oscura indaga in maniera raffinata e permeata dalla suspense la maternità. Ne esce un’idea diversa da quella a cui siamo abituati, una maternità inquietante che arriva a privare la donna di molto, in maniera irreversibile. Non è più una vocazione, qualcosa a cui ogni donna deve aspirare per stare bene con se stessa. Essere madre vuol dire sottoscrivere un patto di sangue, è una prigione, qualcosa che soffoca e da cui si deve scappare.
Non è la prima volta che Elena Ferrante si concentra sul tema della maternità. Anche ne L’amica geniale il diventare madre è analizzato e affrontato sotto diverse prospettive. È proprio nella terza stagione della serie, tratta da Storia di chi fugge e di chi resta, che Lila e Lenù fanno i conti con la maternità. E se c’è maternità ci sono anche le costrizioni che essa comporta. Soffocamento, impedimenti, sofferenza e responsabilità. È così che si traduce l’essere madre in Elena Ferrante.
Ne La figlia oscura l’impossibilità di esternare le proprie difficoltà e di essere compresa, condizioni intrinseche nella figura della madre, sono esplorate in maniera molto approfondita. Ma se nella tetralogia de L’Amica geniale la riflessione sulla maternità è ancora condotta con toni più pacati, in questo romanzo l’indagine è graffiante, feroce, a tratti grottesca e in grado di mettere in evidenza ogni ambiguità e contraddizione. Leda è una donna smarginata, che non ritrova se stessa, non ha definizione. È egoista, staccata dagli altri che hanno deciso chi dovesse essere per anni. Ed è così sia in quanto donna sia in quanto madre.
È in queste pagine, raccontate con uno stile lucido e distaccato, che Leda arriva a definirsi una madre snaturata. Preda dei suoi ricordi e pensieri, la donna non sa dare una spiegazione ai suoi comportamenti. È possibile amare e odiare allo stesso tempo? Restare e scappare? Perché sentirsi libera non è per lei essere madre?
Una storia dolorosa quella di Leda, una storia che è stata capace di far provare forti sensazioni alla regista, Maggie Gyllenhaal. Inserito all’interno di un’opera di trasposizione su grande e piccolo schermo della Ferrante, il film de La figlia oscura è in grado di restituire emozioni autentiche, un po’ come è stato per la regista. Proprio lei, infatti, si è riconosciuta nelle parole della scrittrice, qualcuno che per la prima volta è riuscito a raccontare ad alta voce alcuni aspetti segreti dell’esperienza materna, di amante e donna.
È proprio sul segreto rivelato che si focalizza Maggie Gyllenhaal. Che cosa succederebbe se l’esperienza di svelamento dei propri pensieri non avvenisse nell’esperienza solitaria della lettura, ma in una stanza con altre persone? Abbiamo paura di identificarci con qualcuno che cerca disperatamente un senso in cose che ormai consideriamo brutte, ma se la possibilità di identificarci con questo qualcuno fosse trasferita su uno schermo? È in questo caso che da paura il nostro sentimento passerebbe a conforto. Quelle esperienze, quei sentimenti, quei pensieri non sono solo nostri. Non siamo soli.
Amato dalla critica della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, vincitore del premio per la Miglior sceneggiatura non originale, nominato ai più importanti festival ed eventi globali, La figlia oscura ha trionfato come miglior film, regia e sceneggiatura non originale agli Indipendent Spirit Awards. Con le sue tre candidature agli Oscar 2022, non vediamo l’ora, quindi, di vederlo al cinema, un po’ per la suspense che solamente i thriller sanno darci, un po’ per naturalizzare lo stato d’animo di molte madri: orribili se non specchio di una figura ideale.
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